19 settembre 2018 ore: 15:35
Giustizia

Madri detenute. Bambini senza sbarre: "Chiudere i nidi nelle carceri"

Parla Lia Sacerdote, presidente della onlus che da 14 anni tutela i diritti dei bambini con genitori detenuti: serve “la transizione verso le case famiglia protette". "Ci sono due diritti che sembrano contrapposti ma devono essere coniugati: genitorialità da una parte e libertà del minore dall'altra"
Madri detenute in carcere. Mamma tiene in braccio il suo bambino

MILANO – Per Lia Sacerdote “serve una scelta radicale, non ci sono mezze misure: bisogna chiudere le sezioni 'Nido' dentro le carceri”. La Presidente di Bambini senza sbarre, onlus che da 14 anni è impegnata nella tutela dei figli di persone detenute, commenta quanto accaduto nella sezione femminile di Rebibbia, dove ieri una madre ha lanciato i due figli dalle scale, uccidendone uno. L'altro è, secondo gli ultimi aggiornamenti, “clinicamente morto” mentre si trova ricoverato all'Ospedale Bambin Gesù di Roma. “Sono 20 anni che lavoriamo su questo tema e non si riesce a sbloccare – afferma Sacerdote –. Ci sono due diritti che sembrano contrapposti ma devono essere coniugati: genitorialità da una parte e libertà del minore dall'altra”. Oltre il caso di cronaca ma tenendo presente che “Rebibbia è un carcere preparato, un nido dove i bambini stanno bene, ma l'imprevedibilità di questi fatti non è calcolabile”.

Per la Presidente della onlus serve “la transizione verso le case famiglia protette per madri detenute, gestite dagli enti locali, e che proteggono i bambini in un'età in cui hanno bisogno di apprendere il linguaggio, di muoversi e non avere solo simbiosi materne”. Non bastano invece gli Istituti di custodia attenuata per detenute madri (Icam) previsti dalle legge 62/2011 – sono cinque in Italia, fra cui quello di Cagliari vuoto al 31 agosto 2018 – perché “ci sono situazioni in cui  una madre potrebbe preferire il carcere rispetto all'Icam” dove “c'è un forte impatto pedagogico che per molte donne vuol dire entrare nel tuo modo di essere madre, significa giudicarti”. Mentre al contrario per Sacerdote “il carcere è un luogo strano: ti rispetta in un certo senso, giudica il reato che hai commesso non la persona, come invece avviene anche all'esterno, nella società”. E chiude: “È questo un concetto fondamentale anche per il bambino, che non pensa che il padre o la madre siano cattivi ma al massimo che abbiano fatto una cosa cattiva”. (Francesco Floris)

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