19 settembre 2018 ore: 15:14
Giustizia

Madri detenute. Pagano: "Bambini fuori dal carcere? Facile solo a dirsi"

Nel 2007 Luigi Pagano chiuse il nido al carcere di San Vittore, aprendo la strada alla legge 62/2011 che ha creato gli Istituti di custodia attenuata per detenute madri (Icam): “Il bambino è innocente per definizione ma creare una barriera assoluta alle detenute madri non si può fare”
Carcere: corridoio con porta aperta

MILANO - “La tragedia di Rebibbia colpisce non solo per l'innocenza ma per l'assoluta imprevedibilità”: è il primo commento di Luigi Pagano, provveditore regionale dell'Amministrazione penitenziaria in Lombardia. È lui l'uomo che nel 2007, da direttore di San Vittore e dopo un percorso durato anni, decise di chiudere la sezione “Nido” della casa circondariale milanese, con una mossa che aprì la strada alla legge 62 del 2011. Norma che ha previsto la nascita degli Istituti di custodia attenuata per detenute madri con figli sotto i sei anni (Icam), non su tutto il territorio nazionale ma solo laddove è necessaria la loro presenza. E che tuttavia non ha sancito l'eliminazione dei nidi all'interno delle carceri, per le detenute che non usufruiscono delle misure alternative, tanto che in Lombardia esiste il nido nel carcere di Bollate dopo la chiusura di quello di Como.

L'assegnazione all'Icam, infatti, non è automatica per le detenute madri, ma dipende dalla decisione del giudice competente, soprattutto nei casi di custodia cautelare. Oggi gli Icam sono cinque: il “Lorusso e Cutugno” a Torino, Milano “San Vittore”, Venezia “Giudecca”, Cagliari e Lauro. “Quando aprimmo il primo a Milano  – spiega Luigi Pagano – materialmente spostavamo il nido all'esterno, d'intesa con ministro e Dipartimento, e per le donne con figli fino a 3 anni si prevedeva che fossero seguite dall'Icam e nel caso di situazioni particolari spostate in seguito”. Ma, racconta, “non ci prefiguravamo tutto ciò che è successo dopo, il varo di una legge apposita”.

“Volevamo solo attirare l'attenzione su un problema piccolo ma ignorato. La priorità era portare fuori i bambini da San Vittore, da una sezione di 100 ragazze, molte tossicodipendenti, dove si poteva assistere a scene da crisi di astinenza e il bimbo che deve bussare e aspettare che un'agente di polizia penitenziaria apra alla porta”. Nell'Icam di Milano inaugurato in seguito a quella scelta “gli agenti montano in servizio in borghese per creare la situazione più vicina alla normalità che si possa immaginare”, spiega il provveditore. Una scelta, quella presa all'epoca, coperta solo dalle legge Finocchiaro del 2001 che prevedeva misure alternative al carcere per madri detenute con bambini, ma presa da Pagano d'intesa con ministri, Regione Lombardia, sindaco di Milano e Capo Dipartimento amministrazione penitenziaria. 

Ora che sul caso di cronaca nel carcere di Rebibbia, dove ieri una madre detenuta nella sezione nido ha gettato dalle scale i suoi due figli, uccidendone uno e con l'altro ricoverato in condizioni gravissime all'Ospedale Bambin Gesù di Roma, è intervenuto il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede che ha emesso un provvedimento per la sospensione dei vertici della sezione femminile del carcere, da più parti ci si interroga sul ruolo degli Icam e il percorso di questi anni seguito alle legge 62. “Onestamente a volte non servono nemmeno” risponde Luigi Pagano. “La struttura Icam in Sardegna venne aperta al mattino e 'chiusa' alla sera”, nel senso che ancora oggi risulta vuota, come mostra la tabella statistica del Dipartimento amministrazione penitenziaria aggiornata al 31 agosto 2018 e pubblicata sul sito del ministero. “C'era una sola donna a Cagliari in quella situazione e trasferirla da sola all'Icam significava creare una situazione di maggiore isolamento, rischiando di privarla anche della possibilità di fare colloqui”.

Per Pagano “il problema maggiore è sempre un altro: è vero che il bambino è innocente per definizione, la legge guarda al bambino, ma talune situazioni comportano la detenzione della madre in fase cautelare o di esecuzione della pena”. “Dal punto di vista procedurale o si sceglie che chi ha un bambino sotto i 3, i 6, o 10 anni, non va mai a finire in carcere ma non credo che questo possa essere fatto”. Perché, ad esempio, “quando c'erano le scarcerazioni obbligatorie per i malati di Aids, la Corte Costituzionale stabilì che non era possibile che ciò avvenisse in automatico, per non creare un meccanismo di impunità. Se poni uno sbarramento con la questione bambini crei una sorta di impunità”. Allo stesso tempo esiste il diritto alla genitorialità e a non separare madri e figli, per questo “dire 'mai più bambini in carcere' (come disse il ministro Orlando nel 2015, NdR) è facile, ma realizzarlo è difficile”. (Francesco Floris)

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