Mafie. All’interno dei porti italiani registrati 140 casi di criminalità, circa un episodio ogni 3 giorni
porto di napoli
Gli scali marittimi rappresentano per i gruppi criminali un’opportunità per incrementare i propri profitti e per rafforzare collusioni. I porti, infatti, possono essere considerati come un punto di arrivo, transito, scambio e intersezione, in cui persone e merci si muovono e vengono movimentate, generando ricchezza: da un lato i business creati dai traffici, dall’altro gli investimenti necessari per mantenere le infrastrutture operative, entrambi possibili campi di espansione degli interessi criminali. Libera ha presentato stamattina a Roma il Rapporto “Diario di Bordo. Storie, dati e meccanismi delle proiezioni criminali nei porti italiani”, dove sono stati elaborati i dati provenienti dalla rassegna stampa Assoporti, dalle relazioni della Commissione Parlamentare Antimafia, della DIA, della DNAA, dell’Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanzia.
Gli affari “vanno in porto”
Nel corso del 2022 all’interno dei porti italiani, evidenzia Libera, si sono registrati 140 casi di criminalità, circa un episodio ogni 3 giorni, che sono avvenuti in 29 porti. Il maggior numero di casi di criminalità sono stati individuati nel Porto di Ancona (15 casi), segue il Porto di Genova con 14 casi e Napoli e Palermo con 11. Complessivamente sono 17 i casi localizzati nei porti della Campania. In particolare, nel porto di Napoli sono emersi 11 episodi criminali. La maggior parte di questi (7) riguardano attività di importazione di merce contraffatta dalla Cina (5 casi), India ed Emirati Arabi.
Risulta rilevante segnalare anche due casi di traffico illecito di stupefacente, in particolare di cocaina. E' emblematico il caso di occultamento all’interno della struttura della nave ferma all'interno del Porto per manutenzione, dove è stato recuperato un carico di 88 kg di cocaina nascosta all’interno di una “presa a mare”, cioè quella parte dell’imbarcazione che consente di prendere acqua dal mare per il raffreddamento dei motori o altre utilità. Lo stupefacente era suddiviso in più di 70 panetti e in due bottiglie allo stato liquido.
Nel rapporto di Libera si cita la relazione semestrale del 2020 della DIA, che così afferma: “Nell’area del Porto di Napoli, da sempre ritenuta un punto nevralgico per il controllo dei traffici di sostanze stupefacenti e di merci contraffatte, ma anche per il settore delle estorsioni in danno degli esercenti commerciali e degli imprenditori presenti all’interno e all’esterno del porto, permane l’operatività del clan Montescuro”.
Allarme per il Porto di Salerno viene lanciato dalla Commissione Parlamentare Antimafia (XVIII legislatura) presieduta da Nicola Morra, approvata nel settembre 2022, in cui si afferma che è “tradizionalmente punto di approdo di traffici di sostanze stupefacenti e di merci contraffatte, che spesso fanno capo ad organizzazioni criminali anche non operanti nella provincia”. La Commissione riconosce la rilevanza del porto non solo a livello nazionale, ma soprattutto come struttura servente per il sistema industriale e commerciale del Centro-Sud: “Gli investimenti pubblici degli ultimi anni rendono l’infrastruttura portuale particolarmente appetibile da parte delle organizzazioni mafiose per i potenziali vantaggi derivanti dall’attività di controllo criminale e per tale ragione la prefettura di Salerno, unitamente alle forze di polizia, presta costante attenzione al porto di Salerno proprio al fine di scongiurare qualsiasi forma di infiltrazione mafiosa”.
I porti sono “Cosa nostra”
Analizzando le relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia, pubblicate tra il 2006 e il 2022, più di un porto italiano su sette è stato oggetto degli interessi della criminalità organizzata Sono almeno 54 i porti italiani che sono stati oggetto di proiezioni criminali, con la partecipazione di almeno 66 clan che hanno operato in attività di business illegali e legali. Tra di esse, spiccano le tradizionali mafie italiane: ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra. Compaiono, però, anche altre organizzazioni criminali di origine italiana: banda della Magliana, Sacra Corona Unita e gruppi criminali baresi. In Campania sono stati individuati 3 porti oggetto di proiezioni di criminalità organizzata (Napoli, Salerno e Portici). I gruppi di camorra e quelli di origine cinese – talvolta singolarmente, talvolta congiuntamente – sono coinvolti in attività di traffico di prodotti contraffatti o nel contrabbando di sigarette e TLE.
“Il report - commentano Marco Antonelli e Francesca Rispoli, tra i curatori del Rapporto di Libera - ha come obiettivo generale quello di realizzare una fotografia delle modalità e degli andamenti con cui i fenomeni criminali si manifestano in ambito portuale, con una particolare attenzione al caso italiano e al ruolo delle organizzazioni mafiose. La prospettiva di analisi utilizzata prova a mettere in luce le dinamiche di interazione tra fenomeni illegali e attori dell’economia legale, per mettere in evidenza non solo l’azione dei gruppi criminali, ma soprattutto le condizioni di contesto che permettono ai gruppi di operare. In Italia, alcune istituzioni se ne sono occupate, ma, nonostante la centralità del sistema portuale per l’economia del Paese e la rilevanza della criminalità organizzata italiana nello scacchiere internazionale, manca un’analisi più ampia del fenomeno. Nel dibattito pubblico, infatti, le riflessioni sul tema emergono solitamente in concomitanza con i grandi arresti condotti dalle forze dell’ordine o in occasione dei maxi-sequestri di stupefacenti o altri materiali illegali”.
“La narrazione, però – continuano Antonelli e Rispoli -, risulta essere spesso allarmista, mentre sembra essere necessaria un’analisi puntuale che metta in mostra non solo l’azione dei gruppi criminali, ma anche le criticità degli stessi porti. In conclusione, gli scali sembrano essere uno snodo strategico e di fondamentale importanza per i gruppi criminali, che possono sfruttare l’infrastruttura e i collegamenti per svariati scopi. Un tema su cui, però, il dibattito politico sembra ancora troppo timido. In questo senso, il rafforzamento del coordinamento tra autorità giudiziaria, forze dell’ordine, autorità pubbliche presenti nel porto e imprese private che lì operano sembra essere una delle principali esigenze su cui intervenire, non solo in ottica repressiva, ma, soprattutto, preventiva. Una maggiore consapevolezza da parte degli attori che operano in ambito portuale – pubblici e privati – dei rischi criminali e corruttivi che caratterizzano la vita degli scali, sembra essere la precondizione per la promozione di contesti meno predisposti a scambi illeciti, nonché per la predisposizione di politiche di sviluppo coerenti con queste finalità”.
La centralità nelle rotte commerciali, così come la permeabilità del tessuto socio-economico, hanno reso alcuni scali più attrattivi di altri. Inoltre, negli ultimi anni si può riscontrare come alcuni porti – ad esempio Vado Ligure – abbiano trovato sempre maggiore spazio. “Questo può far ipotizzare un processo di diversificazione ed espansione delle attività della criminalità organizzata anche in differenti scali – si afferma -. Una tendenza che può avvenire per diversi motivi, sicuramente legati al funzionamento stesso del porto: la dimensione economica, il contesto politico e istituzionale, le opportunità criminali create dagli attori operanti all’interno dell’area. Non è solo l’elemento geografico a fare la differenza, ma il contesto portuale”.