Mamma con sclerosi multipla: “interrotto il progetto Vita indipendente senza una parola”
ROMA – “Per me era un aiuto fondamentale: le mie braccia e le mie gambe. Da un giorno all’altro, me l’anno tolto, senza dirmi nulla. E adesso è davvero complicato…”. Simona Mazza vive a Cremolino (AL), ha 43 anni, due figlie di 9 e 14 anni e una diagnosi di sclerosi multipla da 7 anni. “La più piccola aveva due anni quando ho saputo di essere malata”, racconta. Il tempo passa, i figli crescono e la malattia non torna indietro, anzi: “oggi sono a uno stadio avanzato, non ho autonomia, non posso camminare, mi muovo su una sedia a ruote. Ma ho anche gravi problemi di vista, quindi non mi hanno concesso la carrozzina elettrica. E poi non ho manualità, se mi avvicino ai fornelli mi brucio facilmente, se impugno un coltello spesso mi taglio. Non posso sbucciare una mela da sola, Né preparare un pasto, né accompagnare o riprendere le mie figlie”.
Per questo, il progetto “Vita indipendente”, che nel 2009 la regione Piemonte le aveva assicurato, era un “validissimo aiuto – assicura Simona – Una signora stava con me otto ore al giorno. Non faceva le cose al posto mio, ma mi aiutava a farle. Grazie a lei, potevo occuparmi delle mie figlie, portarle da una parte o dall’altra, preparare la cena… Io le pagavo regolarmente stipendio e contributi, poi presentavo la busta paga al comune e venivo rimborsata dalla Regione. Con gli immancabili ritardi, ma poco importava: quell’aiuto per la nostra famiglia era prezioso”.
Poi, dopo qualche anno, le ore sono state ridotte, “ci spiegarono che le risorse erano diminuite e i soldi non bastavano. Poco male: ottimizzavamo i tempi e organizzavamo tutto, per poter sfruttare al meglio l’aiuto che ricevevamo”. Finché, un giorno, il rimborso non arrivò. “Presentai, come sempre, la busta paga al comune di Cremolino. Ma i soldi dalla regione non arrivarono mai. Stessa storia il mese successivo. Il tutto, senza una spiegazione, senza una comunicazione da parte della regione. Per quei due mesi, pagammo la donna di tasca nostra, ma non potevamo permetterci una spesa del genere: e abbiamo rinunciato a quell’aiuto per noi fondamentale”.
Simona e il marito, che in paese gestisce un negozio di animali, hanno provato a chiedere spiegazioni, rivolgendosi anche all’Aism: “ci hanno detto che in effetti attivare progetti di vita indipendente in regione è sempre più complicato: ma che difficilmente vengono interrotti quelli già attivi. Insomma, nessuno sa dirmi per quale ragione questo servizio sia improvvisamente sparito, senza che mi fosse proposta un’alternativa”.
Oggi la vita di Simona e della sua famiglia è decisamente più complicata: “fortunatamente abbiamo un’ottima rete di amicizie e in tanti ci aiutano, soprattutto con le bambine, che ancora non sono autonome. Praticano sport entrambe e sciano a livello agonistico: sono gli amici, il più delle volte, ad accompagnarle in montagna. Poi mia mamma viene per tre giorni a settimana, abita a un’ora di distanza quindi si ferma qui da noi. E mi riempie il frigo e il freezer di provviste. Così la sera, per cena, abbiamo tutto quasi pronto. Devo solo aspettare mio marito, che riscaldi tutto”.
Più complicato è spostarsi, uscire di casa: “devo sempre chiamare qualcuno, da sola non posso andare da nessuna parte. Anche per andare a fisioterapia, di solito chiamo mio marito, che chiude il negozio, mi accompagna e poi viene a riprendermi. Viviamo in un piccolo paese e, in qualche modo, cerchiamo di organizzarci. Ma dobbiamo fare davvero i salti mortali. Vorrei proprio capire perché quell’aiuto così prezioso mi sia stato tolto così, all’improvviso. E se c’è qualcosa che possa fare per riattivarlo”. (cl)