Mamme in difficoltà, “no al requisito della residenza che esclude le straniere dai fondi”
MILANO - Non c'è residenza che tenga quando si ha a che fare con il diritto alla vita e con i bambini. Lo stabiliscono diverse sentenze della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europea. È l'avvertimento che Asgi e "Avvocati per niente" mandano alla Giunta regionale della Lombardia. Le due battagliere associazioni, che hanno vinto diverse cause in tema di discriminazioni, annunciano ricorsi nel caso l'assessore al welfare Maria Cristina Cantù decidesse, come ha sostenuto martedì 4 marzo, di aumentare da 1 a 5 anni il requisito della residenza in regione per le mamme che vogliono accedere ai fondi Nasko (per chi decide di non abortire) e Cresco (per il periodo dell'allattamento). "Invitiamo l’amministrazione a non procedere nel senso indicato -scrivono Asgi e Avvocati per niente in un comunicato stampa-, e confermano il loro impegno per far valere, se necessario anche nei tribunali, il principio di uguaglianza e il divieto di qualsiasi discriminazione anche se operata indirettamente attraverso il requisito della residenza".
"Le limitazioni nell’accesso alle prestazioni e ai servizi sociali basate sulla durata della residenza in regione saranno inevitabilmente bocciate -sottolineano le due associazioni-, perché contrarie al diritto italiano ed europeo, obbligando la regione Lombardia ad affrontare inutili costi legali e prolungate situazioni di incertezza". Già altre regioni e comuni hanno dovuto fare marcia indietro. "Ad esempio la Corte, nel bocciare una previsione della provincia autonoma di Trento che prevedeva un requisito di residenza di soli tre anni per un assegno di cura ai disabili, ha affermato che non vi è alcuna ragionevole correlazione tra la prestazione e un requisito di residenza che potrebbe portare ad escludere proprio i soggetti più esposti alle condizioni di bisogno e di disagio".
"Nello stesso senso si è più volte pronunciata la Corte di Giustizia europea -aggiungono Asgi e Avvocati per niente-, affermando che distinzioni in base alla durata della residenza sono in contrasto con il principio di libera circolazione e costituiscono pertanto una illegittima discriminazione in danno dei cittadini degli altri paesi europei".
Infine "sottolineano che la svolta della regione Lombardia nel senso indicato appare anche irrazionale e in contrasto con un sistema sociale che, mentre da un lato richiede a tutti (e in particolare ai giovani ) la massima flessibilità e mobilità per adeguarsi alle esigenze del sistema economico, dall’altro lato pretende di limitare le prestazioni solo a coloro che a tale mobilità non si adeguano". (dp)