22 novembre 2024 ore: 12:22
Giustizia

Medio oriente, il mandato d'arresto contro Netanyahu divide il mondo

Nessun commento dalla Russia. Fortemente contrari gli Sati Uniti. Per Biden è una "decisione scandalosa" mentre Trump minaccia conseguenze per la Corte penale. L'Europa si spacca. Orban invita il premier israeliano in Ungheria 
Foto: Agenzia Dire Benjamin Netanyahu 3

Il mandato di arresto internazionale contro il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, nonché per il suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant, per presunti crimini di guerra e contro l'umanità commessi dall'8 ottobre 2023 a Gaza, divide il mondo. Svariate le reazioni dei leader di governo, tra chi riconosce la decisione del tribunale internazionale e chi invece ne contesta la legittimità. Tra gli ultimi a esprimersi, la Cina, attraverso il portavoce del ministero degli Affari esteri Lin Jian, che ha detto: "La Cina spera che la Corte penale internazionale mantenga una posizione obiettiva e giusta ed eserciti i suoi poteri in conformità con la legge". Il gigante asiatico, insieme ad altri paesi come Stati Uniti, Russia, Ucraina, India e Sudan non sono membri della Cpi. Ma gli altri 124 che ne sono parte sono vincolati a far scattare le manette nel caso in cui Netanyahu e Gallant entrino nei loro confini nazionali.

Dalla Russia nessun commento, dal momento che lo stesso Vladimir Putin è a sua volta colpito da un mandato d'arresto della Cpi per crimini di guerra e contro l'umanità commessi nel contesto del conflitto della guerra in Ucraina.

Quanto agli Stati Uniti, invece, il presidente americano Joe Biden ha reagito definendo "scandalosa" la decisione della Corte dell'Aia, sostenendo che "non c'è equivalenza tra Israele e Hamas", in riferimento al mandato d'arresto che la Cpi ha spiccato anche contro il comandante dell'ala militare del gruppo, Mohammed Deif. "Saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza" ha ribadito il presidente uscente. Il suo successore Donald Trump, tramite il suo futuro consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz, ha fatto sapere che "ci sarà una risposta" da parte di Washington contro la Cpi, non appena inizierà il mandato alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio. Trump già aveva imposto sanzioni contro il tribunale internazionale all'epoca del suo primo mandato, quando la procuratrice capo della Cpi, Fatou Bensouda, annunciò di voler indagare per crimini commessi da funzionari statunitensi nei vent'anni di presenza militare in Afghanistan.

In Europa, il primo a esprimersi è stato l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue Josep Borrell: chiarendo che la decisione della Corte "Non è una decisione politica", bensì "di una corte di giustizia internazionale. E la decisione della Corte deve essere rispettata e implementata", ha ricordato che "tutti gli stati membri dell'Ue sono vincolati a rispettarla". In questi tredici mesi di operazione militare e crisi umanitaria, Borrell ha proposto varie volte sanzioni contro Israele, fino a chiedere di interrompere la cooperazione politica con Tel Aviv.

E mentre in Italia il governo di Giorgia Meloni afferma che la sentenza sarebbe "sbagliata", ma che comunque il mandato d'arresto scatterà se necessario, Francia e Germania prendono tempo: "Stiamo ovviamente esaminando esattamente cosa ciò significhi per la sua implementazione in Germania", ha detto ai cronisti Annalena Baerbock, ministra degli Esteri tedesca, mentre dal ministero degli Esteri di Parigi, partendo dal riconoscimento che la sentenza "è in linea con gli statuti della Corte", non chiariscono se la decisione sarà applicata. "Invito ufficialmente il premier Netanyahu in Ungheria" ha dichiarato in queste ore invece il presidente Viktor Orban, assicurando al premier israeliano che "qui le sentenze della Cpi non hanno effetto".

Di tutt'altro avviso il governo olandese, che ieri ha subito preso posizione tramite il capo della Diplomazia Caspar Veldkamp, affermando che l'Olanda "è pronta a dare esecuzione a tutti e tre i mandati d'arresto".

"Restiamo sempre dalla parte della giustizia e del diritto internazionale", ha detto anche il vicepresidente della Spagna Yolando Diaz, aggiungendo: "Il genocidio del popolo palestinese non può restare impunito". "La responsabilità di implementare i mandati di arresto della Corte dell'Aia compete ai singoli Stati", hanno ribadito dal ministero degli Esteri del Belgio, Paese che con Madrid ha accolto positivamente la notizia, insieme all'Irlanda: "Certo che arresteremo Netanyahu" ha risposto ai giornalisti il premier Simon Harris. Questi tre paesi si sono dimostrati tra le voci più critiche in Ue dell'azione di Israele nei Territori palestinesi occupati e hanno ripetutamente chiesto il cessate il fuoco e sostenuto, anche legalmente, l'accusa di genocidio che il governo del Sudafrica ha mosso contro Israele, denunciandolo al secondo tribuanale internazionale dell'Onu: la Corte di giustizia internazionale (Icj).

Pertanto, anche il Sudafrica ha accolto con favore la mossa della Corte che, accusando Netanyahu e Gallant di omicidio, attacchi intenzionalmente diretti contro i civili, crimine di affamamento e altri disumani - tra cui il blocco agli aiuti umanitari e alle forniture mediche - vede rafforzata la sua causa all'Icj. Il governo di Pretoria subì forti pressioni da parte dei paesi occidentali quando, nell'ambito del vertice dei Brics dell'estate 2023, invitò il presidente Putin garantendogli "immunità". Alla fine, il capo del Cremlino rinunciò al viaggio, intervenendo in video collegamento da Mosca. Gli Stati Uniti sostennero con energia anche il mandato d'arresto che colpi l'ex presidente del Sudan Omar Hassan Al-Bashir, esortando le stesse autorità sudanesi a consegnare il generale ai giudici dell'Aia.

Restando ancora fuori dal perimetro dei Paesi Ue, il presidente argentino Javier Milei ha espresso "profondo disaccordo", il governo del premier britannico Keir Starmer ha invece assicurato che darà esecuzione al mandato d'arresto della Cpi nel pieno rispetto del diritto internazionale, così come hanno affermato anche il premier del Canada Justin Trudeau e la ministra degli Esteri dell'Australia Penny Wong. (DIRE)

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