Medioriente, 33 mila feriti palestinesi. Appello di Co-mai ai governi europei
ROMA – In questo momento, a Gaza, ci sono più di 33 mila malati e feriti gravi che hanno bisogno di cure all’estero in ospedali specializzati: per lo più feriti di guerra, ma anche 10.500 persone con tumori in stadio avanzato. 1.500 di questi sono bambini in gravissime condizioni, tra cui la maggior parte malati oncologici, che a Gaza ormai da tempo non trovano cure e medicinali necessari per sopravvivere, o per lenire il dolore. Sono i numeri, drammatici, messi in evidenza da Umem (Unione medica Euro Mediterranea), in base a cui oggi Amsi (Associazione Medici di Origine Straniera), Co-mai (Comunità del Mondo Arabo in Italia ) e il Movimento Internazionale Uniti per Unire lanciano oggi un appello urgente ai governi europei, soprattutto dopo la strage di bambini e adolescenti sulle alture siriane del Golan: una tragedia che ci ferisce al cuore e acuisce ulteriormente la gravità di un conflitto che le politiche internazionali hanno il dovere di fermare, perché occorre mettere fine, una volta per tutte, a questo bagno di sangue”.
L'appello viene lanciato da Foad Aodi, a nome delle tre organizzazioni: “Le nostre indagini, costantemente aggiornate grazie al lavoro dei nostri corrispondenti internazionali nel mondo, ci confermano i numeri allarmanti, non solo degli avvenuti decessi, ma in particolar modo, in questo momento, dei feriti e delle persone bisognose di cure all'estero. Le nostre statistiche indicano che non c’è più un luogo sicuro per gli innocenti, così in Palestina, così nella zona del Golan, dove è avvenuta la strage ai confini con la Siria. Siamo di fronte ad un incubo senza fine. Ma questa è la guerra, è la realtà: se non la fermiamo, facendo ognuno la sua parte, sentendoci tutti responsabili di quanto sta accadendo, morti e feriti continueranno ad aumentare”.
L'appello: accogliere i feriti negli ospedali europei
Aodi, fisiatra di origini palestinesi e presidente di Amsi, ricorda che “l'80% dei servizi sanitari, a Gaza, a causa della guerra, sono letteralmente fermi. La sanità locale è al collasso e non dispone dei mezzi per prendersi cura dei pazienti più gravi”. Di qui, la richiesta di un intervento immediato dei Paesi dell'Ue: “Per salvare la popolazione palestinese da una strage, c’è bisogno di due interventi fondamentali: prima di tutto accogliere in tempi brevi i feriti, senza indugiare, all’interno degli ospedali occidentali, specialmente i feriti gravi a causa del conflitto, le donne e i bambini oncologici. I bambini, le donne, tutti i civili deceduti dall’inizio del conflitto: qualsiasi sia la loro nazionalità e religione, nessuno merita di vivere questo incubo: siamo profondamente addolorati per la loro fine e siamo vicini con il cuore alle loro famiglie. Per questa ragione è necessario rafforzare l’organizzazione umanitaria, con ospedali mobili sul posto e delegazioni di medici pronti a fare la loro parte nei territori dove oggi non c’è pace”.
Vista la grave situazione dei feriti, “c'è soprattutto bisogno di professionisti sanitari specializzati, in rami come traumatologia, chirurgia generale, chirurgia plastica, ortopedia, chirurgia pediatrica, ginecologia, cardiologia e cardiochirurgia. Urgono sangue e farmaci mirati – continua - per combattere le patologie croniche, in particolar modo per curare i dializzati, per le malattie cardiache e per i malati di tumori vari in stadi avanzati, così come mancano strumenti chirurgi adeguati. Dobbiamo salvare questi innocenti – ribadisce - È una missione che ci coinvolge tutti, nessuno escluso, anche se la politica internazionale ha in mano le redini di questa situazione e possiede, con la diplomazia, lo strumento in grado di mettere fine a questo bagno di sangue”.
Un Manifesto in 45 punti
Di qui, l'appello al cessate il fuoco e al progetto di “Due Stati, due Popoli”, con corridoi sanitari immediati e con l’istituzione di una conferenza internazionale, “con un faccia a faccia tra gli esponenti politici dei paesi coinvolti nel conflitto, allo scopo di salvare la popolazione palestinese”, aggiunge Aodi, ricordano i 45 punti del Manifesto “Uniti per i Medici”, al cui interno sono contenuti anche i grandi impegni della sanità internazionale: tra questi, la necessità di difendere tutti i professionisti sanitari, in particolar modo l’esercito bianco di uomini e donne che lavorano, a rischio della propria vita, nei luoghi di guerra. Al Manifesto-Appello hanno risposto, aderendo in pieno, già oltre 370 tra associazioni, sindacati e professionisti”.