Mense in carcere, Iori (Pd): "Rinnovare gli appalti alle cooperative"
BOLOGNA - “La possibilità di formarsi e di lavorare in carcere è uno strumento potentissimo per allontanare le persone dalla criminalità: in 10 anni, negli istituti penitenziari dove si è applicata la sperimentazione, il tasso di recidiva è crollato dal 70 al 2 per cento”: forte di questi dati, la deputata reggiana Vanna Iori (Pd) ha presentato un’interrogazione alla Camera. Un’interrogazione per chiedere al ministro della Giustizia Andrea Orlando di rinnovare gli appalti in carico alle cooperative per la gestione delle cucine all’interno degli istituti penitenziari. “Il ministro Orlando ha spiegato che proseguire su questa strada è impossibile per impedimenti tecnici, ma che saranno proposte altre soluzioni. Quindi non chiudere questi appalti, ma ripensarli, magari anche ampliarli”. Immediata la contro-risposta di Iori, anche membro della commissione Giustizia della Camera: “Sono parzialmente soddisfatta, ma ora è bene chiarire cosa si voglia fare e con che tempistiche, perché la questione è urgente”. Secondo la deputata, i detenuti che lavorano nelle carceri, con stipendi regolari allineati ai contratti collettivi nazionali, possono pagarsi il soggiorno in carcere, le spese legali, le tasse e i risarcimenti alle vittime dei reati, determinando un risparmio per le casse dello Stato. “Non solo: nei 10 penitenziari che hanno aderito alla sperimentazione, è migliorata di molto la qualità dei pasti e dell’igiene”. Iori chiede anche al ministro un punto su questi primi 10 anni di sperimentazione, affinché le esperienze migliori siano mandate avanti: “Tutti gli studi, italiani e non, indicano che la logica della responsabilizzazione dei detenuti attraverso il lavoro è positiva; l’idea di ‘punizione’, invece, causa disagio, violenze e recidiva”.
Completamente d’accordo Desi Bruno, Garante dei detenuti dell’Emilia-Romagna: “Lavorare è il fondamento dell’attività penitenziaria, e non solo perché lo dice la legge, ma perché è davvero così. Perciò, ben venga l’interrogazione della parlamentare Iori – spiega –. I detenuti che lavorano retribuiti riescono a trovare la motivazione, a riprendere le relazioni con i famigliari, a reinserirsi nella società una volta fuori. Non sentono di avere perso tempo, ma di averlo investito in qualcosa di buono”. Purtroppo, non si tratta certo di una prassi, ma di sperimentazioni fin troppo isolate, e cita l’officina meccanica Fare impresa in Dozza a Bologna e la Pasticceria Giotto del carcere di Padova: “Sono interventi di nicchia, che non rispondono se non in minima parte alle effettive necessità”. Bruno sottolinea con forza la diversità tra lavori socialmente utili e lavori retribuiti, spesso confusi e citati a sproposito: “I lavori socialmente utili sono un’attività riparatoria, quelli retribuiti sono una possibilità di reinserimento. Vogliamo uno stipendio diverso rispetto a quello ‘normale’? Più basso? E sia. Ma non possiamo togliere anche quello ai detenuti: significherebbe togliere loro la speranza”.
Quanto all’intervento di Orlando, “avrei preferito che le sperimentazioni avessero potuto proseguire ed essere, anzi, estese. Ovunque, in tutti gli istituti penitenziari italiani sarebbe necessario affidare la gestione del cibo alle cooperative: in un colpo si risolverebbero i problemi legati alla qualità e al sopravvitto (le spese extra, quando il vitto che passa il carcere non è sufficiente, a carico del detenuto, ndr). Non solo: si responsabilizzerebbero maggiormente i detenuti, chiamati a prendersi cura del proprio corpo e dell’alimentazione. Purtroppo, sull’onda di altri avvenimenti, si mette in crisi tutto…”. (Ambra Notari)