Migranti, a Pozzallo il pronto soccorso psicologico che allevia i traumi
Foto - Alessandro Penso
POZZALLO (RG) - Una brezza calda si insinua nelle strade ordinate del paese, un reticolo di edifici bassi che risalgono dal mare. Voci che si rincorrono su usci e verande, in attesa dell’ora di cena. Medici, infermieri, mediatori e psicologi entrano e escono parlando sotto voce, fra casette da villeggiatura e balconi ricolmi di piante. Siamo nella sede di Medici Senza Frontiere a Pozzallo, base operativa della missione in Sicilia. “Da qui - spiega la coordinatrice Chiara Montaldo - abbiamo un punto di vista privilegiato su una parte consistente della filiera della migrazione via mare: lo sbarco al porto, la primissima accoglienza e la permanenza nei Cas, i centri di accoglienza straordinaria aperti dal 2013 in tutto il ragusano”. Finita la giornata di lavoro, gli operatori si scambiano impressioni e appuntano le informazioni raccolte.
- Quella di Pozzallo e della provincia di Ragusa è dal novembre 2013 l’attività principale dell’organizzazione umanitaria in Italia. Dopo quasi due anni e migliaia di persone viste, lo staff dell’ong racconta perché, nelle parole della psicologa Pina Deiana, “il primo impatto dei migranti con l’Italia è fondamentale per il loro futuro, soprattutto se pensiamo che quasi tutti hanno esperito eventi potenzialmente traumatici”. E perché, quindi, è importante gestirlo bene. Chiara Montaldo, coordinatrice delle attività di Medici senza Frontiere in Sicilia, dopo interventi in Congo, Repubblica Centrafricana, Cina, India, Ucraina e nella Guinea Conakry colpita da Ebola, racconta che quella siciliana “è la sfida più impegnativa della mia carriera professionale”. Per un motivo molte semplice: “Siamo in un paese del G8, in cui il servizio sanitario dovrebbe funzionare e essere a portata di tutti, quindi ci chiediamo continuamente cosa stiamo qui a fare”. La risposta è in un “difficile equilibrio fra l’intervenire per garantire cure indispensabili e l’evitare di sostituirsi a un sistema che deve camminare sui suoi piedi”.
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Appunto una sfida, in una regione in cui i servizi pubblici sono ridotti ai minimi termini e in cui, oltre alla maggioranza degli sbarchi, si concentra più del 20 per cento dei posti di accoglienza per richiedenti asilo a livello nazionale. “Ad Augusta, il primo porto di sbarco nel 2014, siamo riusciti a farlo: in cinque mesi sul molo, abbiamo fatto sì che si stipulasse un protocollo con l’Azienda sanitaria provinciale e oggi c’è un presidio medico per ogni arrivo”. Msf è approdata in provincia di Ragusa a fine 2013, “grazie alla richiesta della provincia di Ragusa, dell’Asp e della Prefettura”. Prima sede operativa, il Centro di primo soccorso e accoglienza, a pochi metri dalle banchine del porto. Qui medici e infermieri hanno visitato 4860 persone fra gennaio e maggio - 2200 nel solo mese di maggio - su un totale di 6200 arrivi nello stesso periodo. “Persone traumatizzate, soprattutto dai maltrattamenti subiti in Libia, sempre più pesanti”.
Accanto al Centro, in cui le persone dovrebbero fermarsi non più di 48 ore dopo lo sbarco, Medici senza frontiere lavora nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria) del ragusano. 16 strutture sorte negli ultimi due anni per ospitare i migranti salvati con le operazioni Mare Nostrum e Triton, per una capienza totale di circa 400 posti. Pina Deiana, psicologa specializzata nella cura delle vittime di tortura, si è unita in primavera all’equipe psicologica mobile e, da allora, gira da un centro all’altro per incontrare “chi ha sperimentato violenze, attacchi armati, prigionia, viaggi estenuanti, minacce, lavori forzati e umiliazioni”, ovvero la stragrande maggioranza degli ospiti dei Cas. In sei mesi Deiana e la collega Gaia Quaranta hanno vistocirca 210 persone e avviato un percorso di supporto psicologico per 100 richiedenti asilo. 530 le consultazioni totali, con persone provenienti prevalentamente daNigeria, Mali, Gambia e Senegal. “Come prima cosa - racconta la psicologa - do dei dati sui morti in mare, almeno 3400 nel 2014, per metterli davanti a una realtà durissima: sono dei sopravvissuti, e devono prendersi cura delle ferite fisiche come di quelle, invisibili, dell’anima”. All’immagine del rifugiato come assistito, Deiana contrappone una realtà fatta di persone spesso responsabili e competenti, “come due quarantenni, del Gambia e della Guinea Conakry: uomini colti, attivisti politici che erano abituati a aiutare gli altri e, qui, si trovano in un limbo… e stanno veramente stretti nei panni di chi deve chiedere assistenza”.
Chi è mandato nei Cas aspetta almeno sei mesi per l’appuntamento con la Commissione Territoriale per l’esame della domanda di asilo, aggiungendo, spiega Chiara Montaldo, “a un passato difficile, un presente difficile, che genera disagio mentale invece di curarlo”. L’inattività, l’attesa prolungata e le poche relazioni interpersonali fanno infatti da amplificatore, sottolinea Pina Deiana, “all’incertezza e alla sfiducia tipiche di chi ha subito torture e violenze”. Il problema, spiega, non riguarda tanto gli operatori sociali dei Cas, molti dei quali sono motivati, ma piuttosto “le condizioni generalmente inappropriate dell’accoglienza, svolta in luoghi isolati, senza supporto legale, con lezioni di italiano non sufficienti”. Una mancanza di cura riscontrata anche in occasione di sbarchi particolamente tragici, come quelli dello scorso aprile. “700 persone erano morte in mare”, ricorda Chiara Montaldo, “e i superstiti sono stati mandati al Cara di Mineo, un centro che, se non altro per le dimensioni enormi, non può garantire un’accoglienza adeguata per superstiti di un evento simile”. Per rispondere al problema Medici senza frontiere ha lanciato lo scorso maggio un ‘pronto soccorso psicologico’: uno psicologo e un pool di mediatoriaccorrono sul luogo di uno ‘sbarco traumatico’, intervenendo con “cose molto semplici, come fare una telefonata a casa, leggere un passo della Bibbia o del Corano, scambiare due parole”. Semplici ma indispensabili e, purtroppo, difficili, in “un sistema di accoglienza sull’orlo del collasso, che vive di emergenze continue”. Mentre il sole scende, medici e infermieri assaporano la prima brezza fresca della sera. “Oggi ci muoviamo così - conclude Chiara Montaldo - domani chi lo sa… non si può stare fermi, dobbiamo inseguire bisogni e le risposte non sono mail facili”. (Giacomo Zandonini)