Migranti, a Tessennano apre un hub per minori: "Non potevamo restare a guardare"
TESSENNANO (Viterbo) – “Sì, di ostruzionismo ce n’è stato. In tanti hanno provato a strumentalizzare la nostra scelta, ma sono stati smentiti dai fatti. I nostri ragazzi sono sereni e si sentono finalmente protetti. A me basta sapere che dormono sotto un tetto e hanno qualcuno che si prende cura di loro”: Ermanno Nicolai è il sindaco di Tessennano, un piccolo centro di 325 abitanti in provincia di Viterbo, “nel cuore dell’Etruria maremmana”, sorride. La giunta locale ha appena aperto un centro per minori stranieri non accompagnati: 50 posti per maschi e femmine minorenni, nella maggior parte dei casi arrivati con i barconi dalla Libia sulle coste italiane. “Abbiamo partecipato a un bando dell’Unione europea per la realizzazione di un progetto umanitario – spiega. Su 369 progetti presentati, ne sono stati scelti 10 e, tra questi, sono stati finanziati solo due comuni: il nostro, battezzato Progetto Arcobaleno, e quello di Bologna. Certo, il capoluogo emiliano in materia ha molta più esperienza di noi, ma ci mettiamo tutta la nostra buona volontà”. Nicolai, invitato da Amelia Frascaroli, assessore al Welfare di Bologna, aveva anche preso parte all’inaugurazione dell’hub per minori alle ex Case Merlani lo scorso 14 marzo. La cifra stanziata per la realizzazione del progetto laziale in partenza era di 740 mila euro ma, per colpa di una tromba d’aria, l’apertura è slittata da marzo ad aprile e il fondo è passato a poco meno di 660 mila euro. “È il ministero dell’Interno che ci segnala i minori da ospitare: a noi il compito di andarli a prendere e portarli qui”.
I primi arrivi si sono registrati lo scorso 20 aprile: attualmente i ragazzi ospitati sono 30, 10 maschi (non oltre i 14 anni) e 20 femmine (fino a 15/16 anni). Vengono dall’Eritrea, dal Gambia, dalla Somalia: “È arrivato un bimbo di 7 anni, un bimbo che si è messo in cammino dall’Eritrea il 12 agosto. È passato dal Sudan per arrivare in Libia e poi sbarcare in Italia. Altri due ci hanno raccontato di essere stati sequestrati in Sudan: per il loro rilascio le famiglie hanno dovuto pagare un riscatto. Altri ancora hanno spiegato che tra Sudan e Libia, per pagarsi la prosecuzione del viaggio, hanno lavorato nelle piantagioni di banane. I ragazzini che arrivano da noi sono dei miracolati: troppo spesso, chi non ha soldi per il trasporto, paga con il corpo. Violenze e traffico di organi purtroppo sono molto diffusi”.
La struttura è gestita dalla cooperativa Avvenire; un’altra cooperativa segue le attività ludico-ricreative: “Il terzo partner è l’Ente regionale per la formazione professionale, accreditato presso la Regione Lazio: l’obiettivo del nostro progetto è unire accoglienza e formazione. I bambini possono restare con noi fino a un massimo di 60/90 giorni: anche se il tempo è poco, vogliamo dar loro gli strumenti base per riuscire a destreggiarsi tra Italia e Europa una volta usciti da qui”. Così, all’insegnamento e ai corsi di alfabetizzazione si sommano corsi di informatica e laboratori manuali: dalla falegnameria alla creazione di mosaici. E poi c’è lo sport: la struttura (una ex scuola elementare riadattata e adeguata immersa nel verde, nella città alta, a 400 metri dal centro del paese) mette a disposizione anche un campo da tennis e uno da calcio, e propone corsi d’equitazione.
“I primi giorni ci siamo totalmente dedicati all’assistenza sanitaria: i piccoli erano in condizioni drammatiche, tra pidocchi e scabbia: non erano in Italia che da 48 ore. Nel nostro team abbiamo un medico, ma ci supporta tutta l’Azienda sanitaria di Viterbo. Li abbiamo anche vaccinati”. Da qualche giorno, la mattina scuola (al secondo piano di un’adiacente ex scuola materna: “È importante che i bambini vivano spazi diversi e si spostino per raggiungerli”) e il pomeriggio attività ludiche. Dell’equipe fanno parte educatori, avvocati, medici, interpreti, assistenti sociali, una cuoca, un aiuto cuoca e un autista (per i trasferimenti, che fino a poco tempo fa erano organizzati dai comuni in cui i piccoli sbarcavano ma oggi sono responsabilità delle realtà chiamate ad accogliere i bambini): in totale 25 persone. “Con i legali lavoriamo anche sui ricongiungimenti familiari, in Italia e in Europa. Qualcuno di loro ha parlato di parenti, ma ancora non abbiamo notizie certe per nessuno”.
“Questa è la prima possibilità di uscire dall’illegalità che questi bambini hanno: non vogliono restare in Italia, ma raggiungere le loro comunità nel Nord Europa. Se non ci fosse questo genere d’accoglienza, sarebbero stati rispediti nei loro Paesi d’origine. Noi come Comune ci siamo sentiti in dovere di dare una mano: è la dimostrazione di quanto possa fare anche un paese piccolo come il nostro in una tragedia così grande”. Certo, qualche reticenza la giunta ha dovuto affrontarla: quando si parla di migranti, il timore cresce, spiega Nicolai. “Ma i cittadini hanno preso coscienza, e dopo che hanno visto che si tratta solo di ragazzini impauriti, sono meglio disposti. Ma i primi tempi sono stati difficili per tutti. Gli scafisti hanno detto ai bambini di non farsi fotografare, di non firmare nulla, di non farsi prendere le impronte: passaggi che vanno fatti, invece, anche e soprattutto per fornire un codice fiscale, indispensabile per l’assistenza sanitaria non di base. Ci hanno messo un po’ di tempo per cominciare a fidarsi di noi…”.
Dove andranno questi minori una volta che saranno passati i 60, 90 giorni? “Questo ancora non lo sappiamo. Pare che saranno emanati bandi per la realizzazione di strutture di seconda accoglienza. 10, 12 posti letto ognuna, in cui i bambini possano rimanere fino al compimento dei 18 anni. Sembra che queste strutture saranno aperte non solo in Italia, ma anche in altri Stati europei. Vediamo, ma non c’è molto tempo, visto che la fase sperimentale dei progetti come il nostro finisce il 17 dicembre”. (Ambra Notari)