Migranti, ancora morti in mare. Emergency: "Non ce la facciamo più"
ROMA – Il più piccolo ha meno di 13 anni, lo hanno trovato i soccorritori quando ormai non respirava più. Insieme a lui, morte per asfissia, altre tre persone. Erano a bordo di un barcone di legno caricato all’inverosimile: in tutto erano 352 i migranti, tra cui un terzo composto da donne e bambini, anche molto piccoli. A soccorrerli a 17 miglia dalle coste libiche la nave Responder di Moas ed Emergency. “Raccontare il recupero di oggi fa davvero male- sottolinea l’organizzazione fondata da Gino Strada - nella stiva del barcone abbiamo trovato quattro corpi senza vita. Uno era un ragazzino. Mimmo e Gigi, il nostro medico e il nostro infermiere, sono intervenuti immediatamente per assistere altre tre persone in condizioni molto critiche. Ne hanno rianimate due, erano in arresto respiratorio probabilmente da asfissia”.
La maggior parte dei passeggeri è di nazionalità eritrea e al momento viaggiano in sicurezza sulla Responder in attesa di sapere dove sbarcare. Nella morgue della nave anche le quattro salme. “Non abbiamo più parole per descrivere questo orrore, non ce la facciamo più a ripetere sempre le stesse cose, questa è una strage senza fine – sottolinea Andrea Bellardinelli, coordinatore del Programma Italia per Emergency -. Questa mattina siamo intervenuti con il personale medico e abbiamo trovato una situazione terribile nella stiva. Siamo riusciti a intervenire salvarne due, purtroppo gli altri erano già morti. Queste ennesime vittime sono la negazione di ogni diritto umano, una sconfitta che sentiamo anche sulla nostra pelle. Basterebbe un po’ di lucidità a livello europeo per evitare tutto questo”.
Belardinelli sottolinea lo sforzo che si sta facendo in Italia, a tutti i livelli: dal ministero, fino alle prefetture in Sicilia, le aziende sanitarie, le ong e la capitaneria di porto. “Tutto questo però no basta – aggiunge – se manca una politica che non guarda alle cause, e che non cerca soluzioni condivise a livello internazionale”. La migrazione è un fenomeno sociale e come tale va affrontata. Invece assistiamo quotidianamente a una roulette dell’assurdo dove ogni naufragio porta con sé il naufragio dei diritti umani, nell’assenza completa della politica”.
Anche l’imbarcazione salvata dalla nave di Emergency e Moas era un vecchio peschereccio in legno, in cui sono state stipate quasi 400 persone. L’utilizzo di queste imbarcazioni fatiscenti, come sottolinea l’Oim, sta creando un aumento vertiginoso delle morti nel canale di Sicilia nel 2016. Non solo, ma anche per le altre persone a bordo i traumi del viaggio sono spesso terribili. Proprio per questo Emergency spiega di aver attivato un presidio psicologico ai migranti. “L’obiettivo – continua Bellardinelli – è individuare tempestivamente i bisogni dei soggetti più vulnerabili. Sui corpi dei migranti, infatti, sono spesso più evidenti i traumi fisici subiti durante il viaggio e la detenzione in Libia. Ma queste persone, altrettanto spesso, arrivano anche con profonde ferite apparentemente invisibili. Si tratta di traumi psichici devastanti. Il valore aggiunto di questa nostra attività sta nell’approccio interdisciplinare: medici, infermieri e mediatori collaborano con gli psicologi nell’individuazione dei casi più a rischio. L’intervento immediato e idoneo, garantito dall’impiego di personale altamente professionale e da una collaborazione con le istituzioni locali, evita la cronicizzazione del trauma nei soggetti più vulnerabili come donne e minori e facilita un percorso di prima accoglienza calibrato al bisogno di salute”.
Al momento, il team di supporto psicologico è costituito da due psicoterapeuti e un focal point per l’analisi di casi specifici – come ad esempio, vittime di tratta, tortura e superstiti di naufragio – e la supervisione periodica volta a un costante rimodellamento degli interventi all’interno di un contesto complesso e in costante mutamento. Il team lavora in collaborazione con i soggetti presenti sul territorio – in primis, le autorità locali, come aziende sanitarie e prefetture – per implementare una rete virtuosa già esistente e, allo stesso tempo, individuare nuovi percorsi in grado di tutelare il benessere psicofisico dei migranti. (ec)