Migranti, appello a Mattarella: "Non firmi quel decreto!"
ROMA - “L’Italia non diventi il Paese dei lager”. Diverse associazioni e organizzazioni della società civile hanno indirizzato una lettera al Presidente della Repubblica in merito allo schema di decreto riguardante la stretta sull'immigrazione e la protezione internazionale, così come fatto trapelare da fonti giornalistiche la settimana scorsa.
Nella lettera inviata al Capo dello Stato, le associazioni scrivono: “Lo schema di decreto-legge proposto dal Ministero dell'Interno ‘in materia di rilascio di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario nonché in materia di protezione internazionale, immigrazione e di cittadinanza’, qualora approvato con i contenuti recentemente resi noti dalla stampa delinea un futuro e uno scenario inquietanti per il nostro Paese, ridisegnando i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico e sociale e realizzando un processo di criminalizzazione dell'immigrazione e di istituzionalizzazione del razzismo; intendiamo metterne in rilievo nel seguito alcuni punti particolarmente gravi, che ci hanno indotto a rivolgerLe questo preoccupato ed accorato appello”.
L’appello, allora, è quello di “fare tutto quanto in Suo potere per impedire che un simile provvedimento arrivi ad avere forza di legge: rifiuti di concorrere a intaccare nel profondo la sostanza e la forma di una Costituzione pagata a carissimo prezzo col sangue di milioni di morti massacrati nella seconda guerra mondiale e nella guerra di liberazione partigiana”.
“Facciamo appello, signor Presidente, alla Sua indiscussa fedeltà alla Costituzione e alla Sua lungimiranza – scrivono -: non firmi il decreto, rifiuti di gettarci tutte e tutti in questo gravissimo pericolo”.
Quanto allo schema di decreto, ecco - nel merito -, i punti contestati.
Abolizione della prevalenza della protezione e della presunzione di non colpevolezza. “Secondo la normativa attuale – affermano le associazioni -, l'istituto della protezione internazionale prevale su eventuali altri procedimenti in corso, ovvero, in accordo con le convenzioni internazionali, si riconosce la necessità di tutelare in primis le persone da eventuali persecuzioni e gravi rischi per l'incolumità personale rispetto a ogni altro procedimento. Secondo lo schema di decreto, invece, il richiedente asilo che ha in corso un procedimento penale, quindi ad esempio anche solo un'indagine a seguito di denuncia, si vede sospendere il procedimento, e in attesa della conclusione del processo deve essere rimpatriato, mettendone così a rischio la vita; in caso di assoluzione deve di sua iniziativa ricorrere (rimanendo nel proprio paese) per far riaprire la procedura della richiesta d'asilo: sempre che sia sopravvissuto, s'intende. Viene cancellata così d'un colpo la presunzione di non colpevolezza prevista dalla nostra Costituzione, e con essa più di duecento anni di civiltà giuridica nonché la sostanza di trattati internazionali frutto di sanguinosi secoli di guerre”.
Negazione del principio del diritto universale alla difesa in giudizio. Secondo la Costituzione, il diritto alla difesa è fondamentale e garantito universalmente anche per chi è sprovvisto di risorse economiche tramite l'istituzione del patrocinio a spese dello Stato. “Secondo lo schema di decreto, invece – si evidenzia nella lettera -, se il ricorso sarà considerato ‘inammissibile o improcedibile’ nessuna spesa sarà anticipata ai legali. Al di là di ogni considerazione in merito allo svilimento della professione legale sotteso alla previsione in questione (…), ci pare evidente che tale inopinata novità introduca un inammissibile deterrente al ricorso alla Giustizia, anzi un vero e proprio impedimento allo stesso per chi, anche in ragione della propria situazione di forzata irregolarità, versa per lo più in precarie condizioni economiche. Occorre inoltre sottolineare che ciò vale per TUTTI i procedimenti civili, contraddicendo la norma costituzionale e configurandosi di fatto come un attacco alla povertà che lede il principio di uguaglianza davanti alla legge: se non puoi permetterti un avvocato, il gratuito patrocinio ti spetta solo per cause vincenti, e in caso di esito dubbio sarà estremamente difficile trovare un difensore”.
Cancellazione della uguaglianza giuridica di tutte le cittadine e i cittadini. Secondo la normativa attuale, in accordo con la Costituzione, è possibile perdere la cittadinanza italiana solo per acquisirne un'altra o in seguito all'assunzione di uffici incompatibili con la fedeltà dovuta da ogni cittadino e cittadina alla Repubblica e alla Costituzione; chiunque in ogni caso può incorrere in potenza in una o entrambe le fattispecie.
Lo schema di decreto crea invece una nuova categoria, quella dei ‘cittadini stranieri’, la cui partecipazione alla ‘cittadinanza’ è meno tutelante e assoluta perché in fondo anche se cittadini italiani sono destinati a rimanere sempre ‘stranieri’, e potranno vedersi revocare la cittadinanza italiana (e quindi anche quell'insieme di diritti ed obblighi derivanti dall'appartenenza ad una comunità politica istituzionalizzata) per alcuni gravi reati per i quali non esiste analoga previsione quando si tratti di ‘veri italiani’”.
Per le associazioni, “indipendentemente dalla gravità dei reati commessi, si tratta di una rottura gravissima del principio di uguaglianza davanti alla legge che implica una concezione etnica dello status di cittadino e cittadina, e ci riconduce direttamente alla tristissima epoca delle leggi razziali, della cui approvazione ricorre proprio in questi giorni l'ottantesimo anniversario”.
Proliferazione di centri di detenzione amministrativa "straordinari" ed elusivi. “In Italia – si evidenzia - la privazione della libertà personale è lecita solo nei casi e modi previsti dalla legge, ed è riservata ai luoghi deputati alla reclusione, soggetti a tutele e controllo democratico. Com'è noto, nella legislazione italiana è presente un tipo particolare di detenzione che interessa esclusivamente i cittadini stranieri, definita ‘amministrativa’, in quanto non costituisce l'esito di una sanzione conseguente a un reato e che, pertanto, non è disposta al termine di un processo e non richiede una sentenza del giudice, ma pertiene alla giurisdizione amministrativa. In quanto tale, poiché formalmente non assimilabile all'applicazione di una sanzione detentiva, la detenzione amministrativa è sottratta alle garanzie previste dall'ordinamento penitenziario, e nella sua storia ventennale è stata oggetto di numerosi rapporti che ne hanno comprovato le condizioni degradanti per la dignità umana e lesive dei diritti fondamentali (…). Il presente schema di decreto, oltre a dilatare il termine massimo di permanenza (da 90 a 180 giorni) all'interno dei CPR, prevede in alcuni casi l'applicazione della misura detentiva all'interno di qualsiasi ‘struttura idonea’: idonea a che cosa? Chi e come ne stabilisce l'idoneità? La potenziale moltiplicazione incontrollata di questi luoghi di detenzione e la loro conseguente elusività sia geografica che giuridica potrebbero ulteriormente ostacolare l'operato degli organismi di controllo giurisdizionale e far evaporare quelle seppur minime garanzie poste a rispetto della dignità umana dei trattenuti”.
Eliminazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari ed esclusione sociale. La normativa vigente prevede che le Commissioni Territoriali e le Questure possano valutare, e di conseguenza disporre, il rilascio di un permesso per motivi umanitari, per la sussistenza di "gravi motivi di carattere umanitario" e di "seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano".
“Nello schema di decreto questa possibilità è semplicemente eliminata – denunciano le associazioni -; certo si riconosce l'esigenza di individuare e dotare di apposita copertura normativa ipotesi eccezionali di tutela dello straniero, e cioè, come indicato nell'allegata relazione illustrativa, condizioni di salute di eccezionale gravità e situazioni contingenti di calamità naturale nel Paese di origine che impediscono temporaneamente il rientro dello straniero in condizioni di sicurezza, ma tale tutela è riservata a casi la cui eccezionalità è ulteriormente sottolineata dalla previsione del permesso di soggiorno ‘con finalità premiale per il cittadino straniero che abbia compiuto atti di particolare valore civile’. Si nega così qualunque possibilità di prendere in considerazione la ricchezza e le condizioni di fragilità che ogni singola persona porta con sé: chi oggi ha un permesso per motivi umanitari non potrà rinnovarlo e cadrà nell'irregolarità anche se ha casa e lavoro, e chi avrebbe potuto averlo non lo avrà”.
E concludono: “Ci limiteremo soltanto ad accennare, in questo contesto, ad altre misure destinate solo ad aggravare la condizione di esclusione sociale delle persone richiedenti asilo - dalla negazione dell'iscrizione anagrafica alla cancellazione delle misure per l'inclusione nella società italiana attraverso l'insegnamento della lingua, la formazione professionale e l'inserimento lavorativo - per sottolineare come l'impianto complessivo dello schema di decreto appaia non solo in contraddizione in più punti con la nostra Costituzione e i principi generali del diritto, ma teso a creare una condizione di grave frattura della solidarietà sociale”.
“Credere di poter fronteggiare una situazione ormai fisiologica e strutturale con misure e strumenti emergenziali, aumentando l'uso della forza, incrementando il ricorso alla detenzione, promettendo invano l'impossibile rimpatrio di un esercito di più di mezzo milione di esseri umani trattati da nemici pubblici e spinti a una condizione di marginalità estrema, equivarrebbe a precipitare il Paese in una condizione nella quale non stenteremmo a ravvisare i presupposti che, troppo verosimilmente per i nostri valori democratici, darebbero luogo a spaccature che temiamo degenererebbero in situazioni insopportabilmente prossime a quelle di guerra sociale, se non civile”.
La lettera, pubblicata sul sito del Naga, è stata firmata da un nutrito gruppo di associazioni.