Migranti, Arci: "Non si può fare assistenza nei grandi centri di accoglienza"
ROMA - “Sandrine Bakayoko, aveva solo 25 anni ed era arrivata in Italia da appena 4 mesi. Dopo essere sopravvissuta alla traversata del mare e del deserto, partita dalla Costa d’Avorio, ha trovato la morte in un centro di accoglienza della provincia di Venezia. Sentitasi male alle 7 di mattina sotto la doccia, i soccorsi sono arrivati solo alle 15.00 e non è stato più possibile salvarla”. La ricostruzione è dell’Arci, che torna sulla vicenda di Cona e ricorda come “il centro, ex base missilistica della provincia veneta dove Sandrine ha perso la vita, è uno di quei centri collettivi, dove vivono un migliaio di immigrati. Uno dei troppi centri nei quali, dati i numeri, è impossibile fornire adeguata accoglienza e dignità”.
La nota dell’associazione ricorda come l’Arci denunci da anni “la politica dell’accoglienza in grandi centri che sono come il caso dei CARA dimostra luoghi ad impatto negativo sul territorio, che alimentano il razzismo e dove i diritti dei migranti non vengono rispettati. Un’accoglienza giusta è possibile solo nei centri piccoli, a misura di persona, dove favorendo l’autonomia e la responsabilità degli ospiti fin dall’arrivo, si possono sviluppare dei reali progetti d’integrazione e di relazione positiva con il territorio. Al contrario, nei centri con grandi capacità d’accoglienza le persone diventano numeri, i problemi si moltiplicano senza che possa essere trovata una risposta adeguata per l’impossibilità di fornire una reale assistenza”.
“Affinché altre tragedie di questo tipo non si riproducano la sola soluzione è la chiusura immediata di questi centri e che il sistema di accoglienza straordinaria delle prefetture sia trasferito nella rete Sprar – conclude l’Arci -. Serve inoltre un registro nazionale dei soggetti che fanno accoglienza e tutela in maniera competente e monitorata. Bisogna uscire dall’emergenza evitando di alimentare rappresentazioni distorte degli stranieri come è stato fatto focalizzandosi sulla rivolta che è seguita al decesso di Sandrine, frutto dell’esasperazione dei suoi compagni abbandonati a loro stessi nell’ex base missilistica che rischiano di essere strumentalizzate dai predicatori d’odio”.