21 marzo 2016 ore: 16:44
Immigrazione

Migranti, Caritas: l'accordo Ue-Turchia li spinge nelle mani dei trafficanti

L'analisi dei punti che destano le maggiori perplessità: "Perché un paese come la Turchia che non può entrare nell’Ue, in quanto non in grado di rispettare i diritti fondamentali propri di una democrazia moderna, dovrebbe, invece, essere in grado di rispettare i diritti dei profughi?"

ROMA - "Aumentano le perplessità, resta il dramma dei profughi". E' questo il commento della Caritas sull'accordo tra Unione Europea e Turchia sui migranti.  Di fronte al "grave dramma" di tanti migranti, "dovremmo sentire umiliante dover chiudere le porte, quasi che il diritto umanitario, conquista faticosa della nostra Europa, non trovi più posto", ha detto il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, nei giorni scorsi in Macedonia. Dopo l’accordo tra Unione Europea e Turchia dello scorso 18 marzo, la Grecia ha già chiesto più tempo per attuare il programma di rimpatri che desta comunque forti perplessità. Decidere di rispedire queste persone dalla Grecia verso la Turchia non può che suscitare una semplice domanda: perché un paese come la Turchia che non può entrare nell’Ue, in quanto non in grado di rispettare i diritti fondamentali propri di una democrazia moderna, dovrebbe, invece, essere in grado di rispettare i diritti dei profughi rinviati nei suoi campi dalla Grecia?  Ma forse la priorità della politica è solo di liberare il territorio dell’Unione Europea da una presenza ingombrante, a tutti i costi.  Fortunatamente, grazie anche alle pressioni di molte organizzazioni internazionali e delle Caritas europee nel testo dell’accordo UE – Turchia si è inserita l’indicazione per cui “tutti i migranti saranno protetti in conformità delle pertinenti norme internazionali e nel rispetto del principio di non-refoulement”.

Memori anche del fatto che la Corte Europea dei Diritti Umani già qualche anno fa condannò l’Italia per aver effettuato dei respingimenti collettivi verso la Libia in spregio al divieto del principio di non refoulement. È necessario che ogni “profugo” sia messo nella condizione di fare la domanda d’asilo e solo se questa non verrà accolta potrebbe essere rimandato in Turchia. Però, fin quando la Turchia non verrà riconosciuta come Paese terzo sicuro, il rimpatrio sarebbe in contrasto con le norme internazionali che impediscono di effettuare un respingimento verso un paese che non garantisca degli standard minimi di protezione e accoglienza.  Da un punto di vista pratico un aspetto che rende l’accordo difficilmente applicabile – come dimostrano le richieste di dilazione già avanzate dalla Grecia - è la verifica della posizione dei singoli migranti da parte delle autorità, direttamente nelle isole greche. Sarà una procedura che richiederà tempistiche molto lunghe e il rischio è quello di un enorme ingorgo.

Infine, di fronte ad un accordo di questo tipo, i profughi, pur di fuggire dalle guerre, potrebbero spostarsi su altre rotte, fra cui quella del Mediterraneo centrale, in balia di trafficanti senza scrupoli. Un’altra perplessità riguarda i meccanismi di ricollocazione e reinsediamento nell’Unione Europea. Manca nei fatti una volontà politica da parte dei paesi che dovrebbero, secondo la distribuzione delle quote fatta lo scorso anno dalla Commissione, accogliere volontariamente un certo numero di profughi. Senza contare che la Gran Bretagna ha ribadito la sua contrarietà ad aderire a questo meccanismo così come l’Ungheria. 

E quindi per quale motivo dall’accordo con la Turchia – che prevede che contemporaneamente, per ogni profugo siriano riportato nei campi turchi, un richiedente asilo siriano sarà prelevato dalla Turchia e portato in un paese dell'Ue - dovrebbero emergere nuovi elementi di apertura da parte dei 28? L’altro aspetto discutibile è l’esclusiva possibilità di godere della ricollocazione e del reinsediamento da parte dei siriani. Gli eritrei, gli iracheni e tutti gli altri migranti oggi in Turchia che fine faranno? La Turchia ha ratificato la Convenzione di Ginevra mantenendo una riserva geografica molto importante per cui riconosce il diritto di presentare la domanda di asilo solo agli europei. Tutti gli altri cittadini provenienti da paesi non europei non hanno il diritto di presentare una domanda di asilo in Turchia per cui saranno considerati  “irregolari” e quindi rischiano di rimanere bloccati in Turchia. Anche in questo caso il rischio è che l’esito sia quello di cercare rotte più pericolose mettendosi in mano ai trafficanti.  Un’ulteriore questione riguarda la possibile accelerazione sulla liberalizzazione dei visti ai cittadini turchi, pur condizionata al soddisfacimento di richieste ben precise, e l’indicazione di prepararsi “a decidere l’apertura di nuovi capitoli” sull’adesione della Turchia all’Unione europea ferma da tempo, “non appena possibile”.

La crisi dei rifugiati è una cosa, l’adesione della Turchia all’Ue è tutt’altra e non si può mercanteggiare sulla pelle di tanti disperati in fuga. Riassumendo si può dire che il controverso accordo tra l’Unione europea e la Turchia sul rimpatrio dei migranti potrebbe produrre dei risultati drammatici per i profughi che rischiano di essere bloccati per lungo tempo nei campi turchi dove probabilmente nessuno potrà garantire sulla qualità dell’accoglienza e della protezione. Finora infatti le testimonianze che ci sono giunte in questi cinque anni di guerra sia direttamente dai profughi che dagli operatori impegnati nell’assistenza parlano di violenze sistematiche e reiterate violazioni dei diritti umani fondamentali. 

Nei fatti, l’Ue trasferendo miliardi di euro alla Turchia sta semplicemente pagando un servizio di controllo delle frontiere per il contenimento dei flussi verso l’Europa.  Nel frattempo i migranti continuano a morire nei loro viaggi verso l’Europa. “Penso- ha detto ieri papa Francesco -  a tanta gente, a tanti emarginati, a tanti profughi, a tanti rifugiati” e ai molti che  “non vogliono assumersi la responsabilità del loro destino”. Per le Caritas è uno sprone a proseguire nell’impegno di accoglienza e di accompagnamento sui territori, oltre che negli interventi nei Paesi di origine e di transito  dei profughi, ponendo sempre le persone che incontriamo al centro di ogni progettazione.

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