Migranti e ritorno volontario assistito, Cir: "Opportunità difficile da far conoscere"
ROMA - Carlos è arrivato in Italia nel 2000. In Ecuador, il suo Paese di origine, trovava solo lavori irregolari pagati poco. Nel nostro Paese ha lavorato come fattorino e poi come assistente domiciliare agli anziani. Nel 2015 per problemi di salute non ha potuto svolgere la sua attività, così, dopo un anno, ha fatto domanda per partecipare a “Integrazione di ritorno 3”, il progetto del Consiglio italiano per i rifugiati (realizzato in partenariato con Oxfam Italia, Cisp - Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli e Progetto Mondo Mlal) di ritorno volontario assistito e reinserimento socio-economico nel proprio Paese di origine. L’obiettivo di Carlos? Tornare in Ecuador e aprire un “Fruity bar”, un locale che vende frullati, frappè, churros, panini e waffle in una località turistica. Con il supporto del Cir e il sostegno di Oxfam e Fundaciòn Esperanza, è stato realizzato il piano di reintegrazione socio-economica che ha permesso a Carlos di pagarsi 6 mesi di affitto e avviare una micro-attività. Il suo locale è stato inaugurato a maggio di quest’anno.
Attivato a ottobre 2016 e fnanziato dal Fondo Fami, il progetto “Integrazione di ritorno 3” si poneva come obiettivo di accompagnare 270 cittadini di Colombia, Ecuador, Perù, Ghana, Marocco, Nigeria e Senegal di ritornare nel proprio Paese di origine con un progetto di reinserimento socio-economico. “Abbiamo scelto di rivolgerci a persone provenienti dall’America Latina, che sono tra quelle che tradizionalmente chiedono più spesso di tornare, o da Paesi con il maggiore tasso di non riconocimento dello status di rifugiato – spiega Elisabetta Tuccinardi, responsabile del progetto per il Consiglio italiano per i rifugiati – ma il raggiungimento del target è stato difficile”. In 14 mesi, infatti, le partenze sono state solo 60, il 22% dell’obiettivo (visti i numeri bassi la scadenza per le partenze è stata prorogata da fine settembre a fine dicembre). Perché un’adesione così scarsa? “Sicuramente c’è poca informazione sulla misura ed è difficile farla conoscere per una serie di motivi - continua Tuccinardi -. Quando andiamo a presentarla nei centri di accoglienza, sono gli stessi operatori a stupirsi perché loro lavorano per l’integrazione. Spesso poi viene confusa dai migranti con il rimpatrio coatto, mentre una delle caratteristiche del ritorno è l’essere volontario”.
Tra chi ha scelto di tornare attraverso il progetto del Cir, il 17% è completamente irregolare. “Non si tratta di persone a cui è scaduto il permesso di soggiorno ma di persone che un permesso non l’hanno mai avuto, nonostante la lunga permanenza in Italia – spiega Tuccinardi –. Ad esempio si è rivolto a noi un cittadino colombiano che ha vissuto 17 anni nel nostro Paese, lavorando per 15 anni per la stessa azienda senza mai avere né contratto né permesso di soggiorno”. E poi ci sono anche soggiornanti di lungo periodo. “In questo caso, dedichiamo molto tempo a spiegare i benefici del ritorno ma anche le conseguenze – continua –. La misura infatti non vieta di ritornare in Italia, ma a quel punto il permesso di lungo periodo sarà diventato carta straccia”. Tra chi ha scelto di tornare il 20% è rappresentato da donne. Molti i cittadini peruviani. E i tempi? “Dal momento in cui la richiesta di ritorno volontario è inserita nel sistema le tempistiche non sono celeri, ci vogliono dai 2 ai 3 mesi per la partenza – spiega la responsabile – e spesso i migranti non capiscono questa attesa. Quando decidono, vogliono partire subito. Anche perché spesso la decisione arriva quando sono ormai per strada e per loro quei 2 o 3 mesi sono infiniti”.
Come funziona il programma di ritorno volontario assistito? L’obiettivo è il reinserimento socio-economico della persona che sceglie di ritornare. Il Consiglio italiano per i rifugiati realizza un piano individuale di reintegrazione ovvero un micro-progetto per l’avvio di un’attività imprenditoriale, di istruzione o formazione che comprende anche l’alloggio. Il programma prevede un accompagnamento alla partenza con colloqui di orientamento, raccolta della documentazione di viaggio in collaborazione con i consolati e le ambasciate, acquisto dei biglietti e assistenza all’aeroporto e all’arrivo. È prevista l’erogazione di un contributo di 400 euro che viene dato alla persona alla partenza e un contributo di 1.600 euro in beni e servizi per avviare l’attività. “Fondamentale è la collaborazione con i nostri partner che lavorano nei Paesi di origine – continua Tuccinardi –. I numeri sono piccoli ma c’è un grande lavoro di studio per conoscere la situazione del Paese e per sapere quello che succede”. Il programma prevede infatti un monitoraggio a 1, 3 e 6 mesi.
Negli anni passati (il Cir ha sviluppato anche i progetti “Integrazione di ritorno 1 e 2” che hanno garantito a 101 persone un ritorno consapevole e dignitoso nel Paese di origine), una delle attività più diffuse era quella di tassista. “Oggi tendiamo a scoraggiare questo tipo di richiesta – spiega Tuccinardi – perché con 1.600 euro si riesce ad acquistare solo un auto scadente e nel giro di pochi mesi le persone si ritrovano a dover spendere molti soldi per la manutenzione”. Tra le attività intraprese da chi è tornato c’è la produzione e la vendita di fiori in Ecuador e la rivendita di carne congelata in Ghana. “Noi riteniamo che il ritorno volontario assistito sia una delle risposte che l’Italia e gli altri Paesi europei devono dare alla migrazione – conclude Tuccinardi – inserendola fin da subito nel ventaglio delle opportunità”. (lp)