Migranti e social media: strumenti di inclusione o antidoto alla nostalgia?
BOLOGNA - Novanta richiedenti asilo ospiti di diverse strutture d’accoglienza del territorio bolognese: Villa Angeli a Pontecchio Marconi, Villa Aldini e l’hub di via Mattei a Bologna, due appartamenti sempre nel capoluogo e uno a San Giovanni in Persiceto. È questo il campione scelto da Caterina Soldati per il suo dossier ‘I social media: strumenti di inclusione sociale? Una ricerca tra i richiedenti asilo del territorio bolognese’. Pubblicato sul nuovo numero di Africa e Mediterraneo, parte da una serie di domande: i nuovi media stanno diventando veicolo di significati interculturali? Favoriscono l’inclusione sociale dei migranti? Se sì, quanto?
Tra fiducia e sospetto. Soldati insegna lingua italiana nelle strutture di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati sul territorio bolognese ed è una dottoranda di ricerca per Eureka, progetto che mette a disposizione borse di dottorato di ricerca per l’innovazione finanziato dall’Università di Urbino e dalla società cooperativa Lai-momo. Nel campione preso in esame, molti vengono da Nigeria, Gambia, Costa d’Avorio, Pakistan e Ghana, le nazionalità più rappresentate nell’immigrazione bolognese. Un aspetto emerge già al momento della richiesta di disponibilità a partecipare allo studio: più a lungo i migranti restano nel nostro Paese, più cresce in loro il sospetto. I neo-arrivati sono più fiduciosi e grati all’Italia e agli italiani (“Molti hanno lasciato nel questionario messaggi di ringraziamento nei confronti della Marina militare che li ha salvati dal mare e degli operatori che si occupano di loro nei centri d’accoglienza”, si legge), chi è qui da tempo, in attesa di una risposta alla domanda d’asilo, tende ad assumere un atteggiamento di sfiducia e rassegnazione (“Sono meno disponibili al dialogo, si sentono facilmente presi in giro”).
Dispositivi. Secondo la ricerca, il 59 per cento del campione ha uno smartphone, mentre solo il 9 per cento possiede un computer. Il 4 per cento ha un tablet e il 28 per cento non ha nessun dispositivo digitale. 8 su 10 dichiarano di navigare in internet e di usare i social media. “In molti mi hanno raccontato che esiste un mercato nero di Sim card. Non potendo comprarla di persona fino al primo permesso di soggiorno, molti richiedenti asilo si rivolgono a terzi che comprano e rivendono le Sim a un prezzo più alto di quello di costo”.
Social e applicazioni. Facebook è il social più utilizzato con il 32 per cento di utenti, seguono Viber con il 22 e Whatsapp con il 21. Skype è al quarto posto con il 15 per cento di utenti. “Comunico con la famiglia attraverso Whatsapp e Viber. Uso Viber perché è più sicuro di Skype, non è controllato”, specifica Mazen, un intervistato siriano. “Questa è una credenza molto diffusa, e probabilmente nasce dal fatto che Viber non richiede alcun tipo di account o registrazione perché si attiva direttamente inserendo il proprio numero di telefono”, spiega Soldati.
Nuovi e vecchi legami. Per quanto riguarda le dinamiche dell’integrazione nella società d’accoglienza e la creazione di nuove reti sociali, solo il 17 per cento sostiene di avere amici italiani sui social network, il 55 dichiara di non usarli mai per entrare in contatto con nuove persone, il 20 di farlo poco e solo il 25 di farlo molto. “Questi dati rendono conto di come i social media siano utilizzati dai richiedenti asilo non per tessere nuove relazioni, ma per mantenere quelle già in essere”. La chiamata resta il metodo più diffuso per mettersi in contatto con la famiglia (66 per cento), anche perché spesso quest’ultima non ha nessun accesso a internet. Seguono chat (22 per cento) ed e-mail (7 per cento): solo l’1 per cento usa lettere cartacee.
L’Europa, l’El Dorado. Più della metà degli intervistati dichiara di avere intrapreso il proprio percorso migratorio verso l’Europa perché spinto dall’immagine di una terra libera, pacifica e ricca. Ed è il web il principale veicolo di questo messaggio: il 19 per cento dei richiedenti asilo afferma di essere stato influenzato da internet, il 14 dalle tv locali. Spesso, però, quest’illusione impiega poco per infrangersi. Spiega un ragazzo nigeriano: “Quando sono arrivato qui mi sono reso conto che la realtà è ben diversa: non c’è lavoro, di conseguenza non è facile cominciare una nuova vita”.
Cosa sono, in conclusione, i social per i migranti? “Strumenti per accorciare le distanze non tra ‘noi’ e ‘loro’, ma tra ‘loro’ e i cari restati in patria. Per combattere la nostalgia, per comunicare in tempo reale, per essere costantemente informati riguardo le notizie familiari e l’attualità del proprio Paese. Strumenti per continuare a esercitare il proprio ruolo di genitori, figli, amici, attivisti, uomini e donne che abitano il mondo e che attraverso una videochiamata tornano a casa”. (Ambra Notari)