Migranti, il “business dei Cpr”: in tre anni spesi 56 milioni di euro
ROMA - Un sistema di detenzione amministrativa, dove i diritti restano spesso sospesi, ma che rappresenta un buon affare per chi ci investe, in particolare le multinazionali straniere. A fotografare la situazione dei Centri per il rimpatrio italiano è il nuovo rapporto di Cild (Coalizione italiana libertà e diritti civili) , dal titolo “L’affare Cpr-Il profitto sulla pelle delle persone migranti”, presentato oggi a Roma alla Camera dei deputati. I ricercatori hanno monitorato le 10 strutture che risultavano attive fino a febbraio 2023 (Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma, Palazzo San Gervasio, Macomer, Brindisi-Restinco, Bari-Palese, Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago), con una capienza teorica di circa 1.105 posti. Solo il Cpr di Torino (capienza 144 posti) è stato chiuso nel marzo scorso a seguito delle proteste dei detenuti contro le condizioni di detenzione. Il report evidenzia che, nel periodo 2021-2023, le Prefetture competenti abbiano bandito gare d’appalto per un costo complessivo di circa 56 milioni di euro (nello specifico 56.674.653,45 euro, iva esclusa) finalizzate alla gestione, da parte dei privati, dei CPR presenti sul territorio, cui vanno sommati i costi relativi alla manutenzione delle strutture e del personale di polizia.
“La detenzione amministrativa è diventata, anche nel nostro Paese, una filiera molto remunerativa - sottolinea Federica Borlizzi, ricercatrice che ha curato il report -. C’è ormai una doppia tendenza:una continua spinta alla minimizzazione dei costi da parte dello Stato, con una deresponsabilizzazione di quest’ultimo rispetto alla gestione delle strutture. E dall’altra la ricerca della massimizzazione dei profitti da parte delle imprese che gestiscono i Centri. E queste due tendenze sono fortemente legate”. Dall’analisi delle gare di appalto Cild evidenzia offerte sempre più al massimo ribasso: “ci sono multinazionali straniere che partecipano con ribassi incredibili - aggiunge Borlizzi - offrendo anche 5 euro al giorno per la fornitura di colazione, pranzo e cena”.
Accanto alla questione economica c’è quella dei diritti. La Coalizione esprime preoccupazione per le nuove disposizioni normative previste dal decreto Cutro che non solo ampliano il numero delle strutture ma prevedono anche deroghe al codice degli appalti. “In questo rapporto abbiamo evidenziato le carenze dell’intero sistema sotto il profilo delle garanzie - sottolinea il presidente di Cild, Arturo Salerni -. Estendere questo modello significa creare nel paese un circuito senza diritti solo per alcune persone, che spesso non hanno commesso reati o che se lo hanno fatto hanno già scontato una pena. Con la privatizzazione della gestione del servizio accompagnata dal commissariamento saltano tutte le regole, sia per l’appalto di costruzione che per la gestione - aggiunge-.Tutte le previsioni portano a dire che quest’estate ci sarà un aumento degli arrivi e che sono già stati predisposti degli interventi per affrontare la questione a margine del diritto costituzionale. Il timore dunque è che la situazione che fotografiamo nel report possa peggiorare. Siamo di fronte a un sistema discriminatorio che prevede la privazione della libertà solo per i cittadini stranieri, siamo nell’ambito del diritto non penale ma coercitivo differenziato soltanto per alcune categorie di persone. E questo è molto grave”.
Il rapporto analizza poi i principali enti gestori dei Cpr italiani. Tra questi spiccano alcune multinazionali come Gepsa e ORS, la società Engel s.r.l. e le Cooperative Edeco-Ekene e Badia Grande. “Multinazionali, società e Cooperative che hanno contribuito a fare la storia della detenzione amministrativa in Italia- scrivono i ricercatori -.Dal 2014 cominciano a presentarsi nelle gare d’appalto per l’affidamento dei Cie, ridenominati nel 2017 Centri di Permanenza e Rimpatri (Cpr), non più solo cooperative ma anche società e grandi multinazionali che, in tutta Europa, gestiscono centri di trattenimento e servizi ausiliari all’interno delle carceri. Nel 2014-2015 a rappresentare al meglio questa tendenza era la multinazionale Gepsa che, in pochissimo tempo, ottiene quasi il monopolio dei Cie allora esistenti. Dieci anni dopo, questa tendenza è ben rappresentata dalla multinazionale elvetica Ors che riesce ad imporsi nel settore della detenzione amministrativa, ottenendo la gestione del Cpr di Macomer quando era ancora una società inattiva (dicembre 2019) e recentemente anche i Centri di Roma (dicembre 2021) e Torino (febbraio 2022). Abbiamo a che fare con società (come la Engel s.r.l) e multinazionali che riescono spesso ad aggiudicarsi le gare d’appalto attraverso delle modalità aggressive, ossia proponendo importanti ribassi sui prezzi a base delle aste con il rischio di gravi violazioni dei diritti fondamentali delle persone trattenute. Basti pensare che nei Cpr anche il servizio di assistenza sanitaria è oggetto di una vera e propria “extraterritorialità”, essendo affidato non al SSN (come avviene con gli istituti penitenziari) ma all’ente gestore. “Se l’assistenza sanitaria e anche l’idoneità all’entrata per il trattenimento è lasciata agli operatori del centro si apre una questione di conflittualità - conclude Borlizzi -: l’ente gestore ha interesse a far entrare più persone possibili. E’ lo Stato che dovrebbe controllare ma non lo fa”.