15 giugno 2023 ore: 13:25
Immigrazione

Naufragio in Grecia, è una delle più grandi stragi del mare: “Accertare responsabilità”

di Eleonora Camilli
Confermata la presenza a bordo di oltre 700 persone, solo 104 i sopravvissuti, si cercano i dispersi. Oim: “Autorità dovevano intervenire, il barcone era sovraccarico e fatiscente”. EuroMed Rights: “In Libia è in atto un gioco sulla pelle delle persone”. Arci: “Strage degli innocenti, Europa responsabile”
naufragio Grecia

Una foto dall'alto del peschereccio naufragato in Grecia

ROMA - Quella che fino a ieri era una terribile ipotesi ora è una conferma. Sul peschereccio partito dal porto di Tobruk, in Libia, e naufragato vicino alle coste del Peloponneso, a Pylos, in Grecia, c’erano tra le 700 e le 750 persone. A raccontarlo sono i sopravvissuti, unici testimoni di quella che si sta delineando come una delle più grandi stragi del Mediterraneo. Sono solo 79 finora i corpi recuperati senza vita, 104 i superstiti. Trenta di loro sono stati trasportati subito in ospedale, gli altri sono stati portati in un vecchio magazzino vicino al porto, nella città di Kalamata. 

Secondo le prime informazioni disponibili a bordo c’erano almeno 40 bambini, alcuni testimoni parlano di 100. Molti di loro, insieme alle donne, erano stipati nella stiva della nave. L’attivista Nawal Soufi, che già martedì 13 ha lanciato l’allarme sulle condizioni dell’imbarcazione racconta di essere stata contattata nelle prime ore del mattino dai migranti che parlavano di una situazione difficile. “Dopo cinque giorni di viaggio, l'acqua era finita, il conducente dell'imbarcazione li aveva abbandonati in mare aperto e c’erano anche sei cadaveri a bordo - afferma -. La situazione si è complicata quando una nave si è avvicinata all'imbarcazione, legandola con delle corde su due punti della barca e iniziando a buttare bottiglie d'acqua. I migranti si sono sentiti in forte pericolo, poiché temevano che le corde potessero far capovolgere la barca e che le risse a bordo per ottenere l'acqua potessero causare il naufragio. Per questo motivo, si sono leggermente allontanati dalla nave per evitare un naufragio sicuro - continua Soufi -. Durante la notte, la situazione a bordo dell'imbarcazione è diventata ancora più drammatica: i migranti erano confusi e non capivano se quella fosse un'operazione di soccorso o un modo per mettere le loro vite ancora più in pericolo. Io sono rimasta in contatto con loro fino alle 23:00 ore greche, cercando di rassicurarli e di aiutarli a trovare una soluzione. Per tutto il tempo mi hanno chiesto cosa avrebbero dovuto fare e io continuavo a dire che i soccorsi greci sarebbero arrivati. In questa ultima chiamata, l'uomo con cui parlavo mi ha espressamente detto: "Sento che questa sarà la nostra ultima notte in vita".

Una strage annunciata 

La dinamica del naufragio non è ancora chiara, le condizioni metyomarine non erano avverse. Frontex, l’agenzia di frontiera europea, in un tweet dice di aver alle allertato le autorità competenti alle 9:47 del 13 giugno. Sui media greci, le autorità elleniche spiegano che il peschereccio navigava in buone condizioni e che sarebbero stati i migranti a rifiutare l’aiuto per poter proseguire il viaggio verso l’Italia. Ma l'ong Alarm Phone chiede che siano accertate le responsabilità: "la realtà è che le autorità erano state allertate molte ore prima che il peschereccio si rovesciasse ed erano state informate da diverse fonti che si trattava di un'imbarcazione in pericolo - sottolineano -. Secondo quanto riferito, sul posto erano presenti mezzi della Guardia Costiera greca e un aereo di Frontex. Le autorità europee avrebbero potuto avviare senza indugio un’operazione di soccorso adeguata. Non l'hanno fatto perché il desiderio di impedire gli arrivi è stato più forte della necessità di salvare centinaia di vite" scrivono in un comunicato.

Anche altre organizzazioni denunciano la prassi pericolosa di non prestare immediato aiuto da parte degli Stati. “Negli ultimi mesi le  autorità europee continuano a ripetere che non si interviene in mare se le imbarcazioni navigano senza problemi - spiega a Redattore Sociale, Flavio Di Giacomo portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) -. In realtà, come è stato ampiamente spiegato da esperti di diritto marittimo e soccorritori, i barconi di migranti, spesso vecchi e sovraccarichi, non hanno i requisiti minimi per poter navigare in alto mare. In questo caso parliamo di un peschereccio pieno di persone, tecnicamente è un natante
unfit to travel, inadatto alla navigazione. Sono natanti fatiscenti, non rispettano i requisiti minimi di sicurezza, quindi le operazioni di soccorso dovrebbero scattare subito dalla prima segnalazione. E’ successo a Cutro, è successo di nuovo a Pylos". 

Il responsabile di Oim spiega inoltre che le traversate sono ormai sempre più pericolose. Dalla Tunisia si parte con barconi di ferro che si spaccano facilmente, dalla Libia ( dalla Tripolitania prima e ora dalla Cirenaica) vengono utilizzati pescherecci molto grandi per poter contenere alti numeri di persone, proprio come succedeva nel 2015-2016. “Sono barconi poco adatti al trasporto di persone - aggiunge -. Non abbiamo notizie precise dalla Libia dell’Est ma sappiamo che c’è stata una crisi della pesca, potrebbero essere i pescatori a vendere i pescherecci ai trafficanti”. Stando ai numeri si parla già di 1039 morti nel Mediterraneo centrale da inizio anno: “è una stima in difetto, perché specialmente dalla Tunisia il numero dei naufragi potrebbe essere più alto. Inoltre dovremmo aggiornare la stima con questo ultimo naufragio, quindi dobbiamo considerare quasi 600 morti in più”. 

Un gioco politico sulla pelle delle persone

inoltre, la situazione in Libia, in particolare nella zona di Tobruk, da cui il peschereccio è partito si è fatta sempre più difficile, specialmente nelle ultime settimane. “Stiamo assistendo all'ennesimo esempio di un gioco al ricatto che si basa sulla strumentalizzazione del dossier Migraizone per interessi geopolitici - sottolinea Sara Prestianni, responsabile Advocy di Euromed Rights -. Negli ultimi tempi abbiamo iniziato vedere un aumento dei flussi dalla Libia Est, principalmente da Tobruk. Sembra chiaro che Haftar stia seguendo le orme di altri paesi, come la Turchia, e stia usando questo aumento per aprire un dialogo con Roma. Il primo segnale con cui il generale ha fatto capire di essere disposto a collaborare con le autorità europee è stata l’intercettazione a fine maggio di un barcone con 600 migranti, respinto poi a Bengasi. Inoltre in queste settimane ci sono state varie retate e arresti arbitrari a Tobruk, specialmente di egiziani, portati in frontiera o nei centri di detenzione. Ovviamente tutto questo sulla pelle delle persone, è un copione già visto che si basa su l'ossessione dell’Europa per la dimensione esterna. Lo vediamo anche dal primo compromesso sul Patto per la migrazione uscito dal Consiglio ”. 

L’altro aspetto critico riguarda la posizione dei paesi Ue che si sottraggono al salvataggio in mare, come la Grecia o Malta. “I rifugiati siriani sono spesso vittime di respingimenti a catena. Abbiamo visto barconi partire dal Libano verso l’Italia, oggi si parte da Tobruk, ma le rotte diventano sempre più lunghe e pericolose proprio per effetto della chiusura dei paesi europei”, conclude Prestianni. 

Lo sdegno delle organizzazioni: “Una strage di innocenti”

In queste ore le organizzazioni impegnata nella tutela di migranti e rifugiati stanno commentando la notizia del naufragio. Unanime è lo sdegno e la richiesta di un accertamento delle responsabilità. Il Centro Astalli parla di “un’ecatombe annunciata”, l’Arci di “una strage di innocenti”. “Ancora morti di frontiera, altre vittime delle politiche europee e delle scelte dei governi. A pochi giorni dell’accordo raggiunto dai ministri dell’Interno dei 27 Paesi UE nel Mediterraneo emerge come i governi continuino a non volere affrontare la realtà e a perseguire solo obiettivi di propaganda politica - sottolinea Filippo Miraglia, responsabile Immigrazione di Arci nazionale. “Ciò che serve immediatamente - afferma -è un programma europeo di ricerca e salvataggio. Uno strumento pubblico che impedisca le stragi. Rafforzare i legami con le milizie libiche, rafforzare la cosiddetta guardia costiera, continuare a investire sull’esternalizzazione, come hanno concordato i governi UE, servirà solo ad aumentare il numero dei morti e gli affari dei trafficanti”. “La domanda - prosegue Miraglia - che rivolgiamo al nostro governo e ai governi europei è questa: quelle persone che sono scappate dalla Libia mettendo a rischio la loro vita e pagando di persona scelte vostre, avevano alternative? Potevano mettersi in salvo rivolgendosi ai governi europei?”

Il  Comitato 3 ottobre, nato dopo la strage del 2013 a Lampedusa chiede che le vittime non rimangano senza nome. “La speranza oggi è che le vittime del nuovo tragico naufragio avvenuto a sud della penisola del Peloponneso, al largo della Grecia o non restino senza identità - sottolinea il presidente Tareke Brhane -. L’Italia sa già come fare, ma serve che anche gli altri Paesi europei, come la Grecia, adottino un Protocollo comune. E’ sempre più evidente come sia necessaria una banca dati europea che si occupi di tutti i morti nel Mediterraneo”.
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