3 maggio 2018 ore: 15:01
Immigrazione

Migranti: in Italia 2,6 milioni hanno il conto corrente

Per aprirlo servono codice fiscale, documento d’identità e permesso di soggiorno. Non proprio semplice, eppure è il primo passo per accedere a strumenti finanziari e, ad esempio, aprire un’attività. L’esperienza di Cristina che ha aperto una stireria a Treviso con il microcredito. Se ne parla a Italia-Italie
Rimesse, soldi in mano a immigrato

BOLOGNA – Tra i primi impegni da sbrigare dopo il trasferimento in un nuovo paese c’è quello dell’apertura di un conto corrente. Ma non è sempre così semplice, né avere accesso agli strumenti finanziari e nemmeno saperne fare un uso corretto. Proprio queste variabili sono quelle che determinano la cosiddetta “inclusione finanziaria, legata in modo stretto al tema dell’inclusione sociale”, come spiega Daniele Frigeri, direttore del Centro di studi di politica internazionale. L’inclusione finanziaria è la materia di indagine del Rapporto sull’inclusione finanziaria dei migranti in Italia pubblicato da Cespi anche quest’anno: “Sono 2 milioni e 600 mila i conti correnti intestati a cittadini immigrati”, pari al 74,8% degli adulti, e per aprirli è necessario “codice fiscale, documento d’identità e permesso di soggiorno”. Se ne parla a Italia-Italie, la trasmissione multiculturale di Radio Città del Capo di Bologna. 

Un tema centrale, tanto da aver reso necessaria l’introduzione di una Direttiva europea nel luglio del 2014 che riconoscesse “l’accesso al Conto di Base come diritto di una persona“, recepita dall’Italia il 22 agosto 2017. La Direttiva prevede che “le banche, gli istituti di moneta elettronica, gli istituti di pagamento e Poste Italiane” siano tenuti ad offrire ai “consumatori soggiornanti legalmente nell’Unione Europea” un Conto di Base che garantisca la “gratuità del canone annuo”, “senza discriminazioni e a prescindere dal luogo di residenza”. Ne hanno quindi diritto anche “i consumatori senza fissa dimora e i richiedenti asilo”. L’accesso al credito è fondamentale in particolar modo per i piccoli imprenditori a titolarità immigrata che volessero avviare un’attività e che, conclude Frigeri, rappresentano un “settore in continua crescita”. 

Dal Messico alla provincia di Treviso per aprire una stireria: è l’esperienza di Cristina, laureata in Economia, oggi imprenditrice. “In Messico lavoravo già da 15 anni – racconta – ma appena arrivata in Italia facevo solo la casalinga”. Dopo un primo periodo ha così deciso di “cominciare a cercare lavoro” ma il percorso si è rivelato più difficile del previsto. Finché, dopo tanti tentativi, non è arrivata l’idea: “Quando facevo la casalinga mi sarebbe servito un servizio di stireria. Ho pensato che se serviva a me, potevano esserci anche altre persone ad averne bisogno”. Nasce allora la stireria a pezzo La Catrina, con la quale Cristina si è lanciata nel settore dell’imprenditoria. “Abbiamo avuto tanti problemi all’inizio – racconta – e stavamo per mollare tutto” ma alla fine ce l’ha fatta e ora, dopo due anni di attività, sta addirittura “assumendo nuove persone”. 

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