Migranti, l'accordo Ue-Turchia è un modello replicabile? "Non da altri paesi"
BOLOGNA – “L’Accordo tra Ue e Turchia del marzo 2016 aveva l’obiettivo di bloccare il flusso dei migranti verso la Grecia e da lì, attraverso i Balcani, verso l’Europa. L’Accordo è stato fortemente criticato, soprattutto perché ha avuto come effetto quello di intrappolare i migranti sulle isole greche o in Serbia. Ma l’obiettivo prefissato, bloccare i flussi, è stato raggiunto”. A parlare è Fazila Mat, giornalista di Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, intervenuta al seminario “Politiche europee e nazionali sull’asilo due anni dopo l’Agenda Ue sulla migrazione” tenutosi oggi a Bologna. Secondo l’ultimo report della Commissione europea, infatti, a settembre gli arrivi sulle isole greche dalle coste turche, si attestano sulle 93 persone al giorno, contro le 1.700 dei mesi precedenti. Ma questo Accordo può essere un modello replicabile da altri Paesi? La risposta è “no”, secondo Mat. E i motivi “vanno cercati nel percorso storico, politico ed economico del Paese e all’effetto di democratizzazione dell’Unione europea verso la Turchia. Teniamo conto che, nonostante la deriva autoritaria del Paese, il governo è stabile: possiamo dire lo stesso della Libia?”.
“Da sempre Paese di transito, nel 2011 la Turchia ha attuato una politica di ‘porte aperte’, accogliendo diverse decine di migliaia di profughi siriani – spiega Mat – Erdogan riteneva che Assad sarebbe stato rovesciato in breve tempo, ma così non è stato e dai 25 mila iniziali, oggi i profughi siriani in Turchia sono circa 3 milioni”. A questi poi si aggiungono 30 mila profughi provenienti da altri Paesi (soprattutto Iran, Iraq e Afghanistan). La Turchia ha adottato una riserva geografica alla Convenzione di Ginevra: prevede l’asilo solo per le persone che provengono dai Paesi che fanno parte del Consiglio d’Europa e i siriani non vi rientrano ovviamente. “Il sistema distingue a seconda che gli arrivi siano individuali o di massa – spiega la giornalista – Nel primo caso, l’asilo è garantito per i Paesi del Consiglio d’Europa, per gli altri è possibile ottenere lo status di rifugiato condizionale facendo domanda all’Unhcr ad Ankara o chiedere la protezione sussidiaria. Nel caso di arrivi di massa, come per i siriani, è previsto un sistema alternativo, la protezione temporanea”. I 10 campi profughi creati al confine con la Siria nel 2011 sono diventati 26 ma riescono ad accogliere solo 260 mila persone: le altre sono distribuite nelle città (Istanbul ne conta 400 mila).
Uno dei punti dell’Accordo del 18 marzo 2016 tra Ue e Turchia è lo stanziamento a favore della Turchia di 3 miliardi di euro per il periodo 2016/2017 di cui 2 miliardi provenienti dagli Stati membri e 1 dall’Unione europea (un contributo di ulteriori 3 miliardi di euro è previsto per il 2018 nel caso di corretto utilizzo dei fondi per il periodo precedente). “Un punto criticato, vista la deriva autoritaria che sta vivendo la Turchia da diversi mesi”, dice Mat. Ma a cosa servono questi fondi? Tra i destinatari ci sono Ong internazionali, agenzie Onu e banche per lo sviluppo. Solo 600 mila euro vanno a due ministeri turchi, quello della Sanità e quello dell’Istruzione (300 mila a ognuno) e 12 milioni di euro vanno alla Direzione centrale delle migrazioni. I fondi servono per aiuti umanitari e non, in particolare quelli umanitari puntano ad aiutare i siriani in condizioni di estrema povertà e che necessitano di sostegno alimentare, “ad esempio è stata introdotta una carta prepagata, che viene caricata con 25 euro al mese, per ogni membro delle famiglie in condizioni di difficoltà”. Da aprile 2016 il governo turco ha garantito l’accesso a scuola e ai servizi sanitari per i siriani, ma le difficoltà restano. “La campagna di scolarizzazione ha portato a 500 mila bambini siriani iscritti, ma ne restano 350 mila che non vanno scuola perché troppo lontane, perché non conoscono la lingua, perché la famiglia non può sostenere le spese per i libri – spiega Mat – A restare a casa spesso sono le bambine”. La legge che ha dato la possibilità ai siriani di lavorare è del gennaio 2016 ma “non contiene incentivi ad assumere e spesso le persone finiscono per lavorare in nero”. Anche nella sanità ci sono difficoltà, legate soprattutto alla mancanza di operatori che parlano arabo.
Altri punti dell’Accordo erano l’accelerazione dell’ingresso della Turchia nell’Ue, “possibilità svanita” e la liberalizzazione dei visti, “ma la situazione non è rosea”, afferma Mat. “La Turchia minaccia di riaprire le frontiere, ma è irrealistico – conclude – I siriani stanno trovando un modello di integrazione e, per il governo, rappresentano un potenziale bacino di elettori. In più la situazione tragica delle isole greche certo non li invoglia a partire”. (lp)