Migranti, l’attacco alle ong? "Una strategia degli imprenditori della paura”
ROMA – L’attacco indiscriminato alle ong non è altro che un tentativo di “riprendere terreno da parte di quegli imprenditori della paura che hanno dominato, negli ultimi anni, il racconto dell’immigrazione”. Ne è convinto Marco Binotto, ricercatore e professore aggregato presso il Dipartimento di Comunicazione dell’università La Sapienza di Roma, e autore insieme al collega Marco Bruno, del libro “Tracciare i confini, l’immigrazione nei media italiani”. “La strategia è quella di difendersi attaccando – ha spiegato Binotto nel corso di un incontro oggi presso la facoltà di Scienze della Comunicazione, a Roma -. Negli ultimi anni abbiamo notato un cambiamento positivo nel racconto dell’immigrazione sui media: nel lessico, per esempio, con l’abbandono del termine clandestino in favore di migranti. In generale si sta normalizzando lo sguardo collettivo sul fenomeno, con approcci diversificati e la ricerca di soluzioni possibili. Questo stava stretto a chi ha cavalcato in passato il tema, facendosi imprenditore della paura e dominando in modo unidimensionale il modo di vedere l’immigrazione. Quello che è successo con la polemica sulle ong è un difendersi attaccando, si era in difficoltà nel confermare le proprie posizioni, quindi si è scelto di screditare l’intero sistema umanitario”. Secondo Binotto dunque l’operazione a livello comunicativo è quella di “spostare l’ attenzione perché oggi il punto di vista anti-immigrati non è più egemone. Si usa quindi di nuovo la tecnica di cercare un nemico, qualcosa di marcio su cui centrare di nuovo il focus. E così il caso presunto di una ong, che forse non si comporta in maniera lecita, diventa l’escamotage per gettare discredito su tutti e sull’intero sistema”.
Anche secondo Marco Bruno, coautore del libro “oggi c’è molta più informazione corretta sull’ immigrazione. Di contro, però, anche la percezione distorta e la quota di cattivismo è aumentata”. “I giornalisti – spiega – sono spesso in grande difficoltà nel trattare i numeri e anche quando i numeri sono molto bassi non rinunciano a parlare di invasione ed emergenza”. Per questo, secondo Valentina Brinis, dell’associazione A Buon diritto è necessario riportare il fenomeno migratorio su un livello di narrazione reale. “Il modo in cui questo tema viene narrato ha notevoli conseguenze sulla sua governance: se parlo di invasione la conseguenza sarà la protezione dei confini”. L’esempio più calzante, secondo Brinis, è quello dei rifugiati: 131mila nel nostro paese (dato Unhcr) “che non riempirebbero neanche la metà del Circo Massimo di Roma. Eppure li vediamo come una minaccia”. “In questo – aggiunge – “il giornalismo deve essere più attento: un linguaggio improprio produce azioni improprie”.
Sulla stessa scia anche Giovanni Maria Bellu, presidente dell’associazione Carta di Roma. “Il codice deontologico Carta di Roma si riferisce a tutti i giornalisti, non solo a quelli già sensibili al tema – sottolinea -. Queste norme devono essere seguite anche da chi vede male l’immigrazione, perché si tratta di regole deontologiche basilari. Oggi chi fa informazione ha una grande responsabilità, perché oltre ai media ci sono anche i social a veicolare informazioni scorrete. Spesso non è sufficiente essere corretti, se la musica di sottofondo è un’altra. Per operare un vero cambiamento dovremmo metterci dalla parte dei carnefici, coglierne la logica e colpirla al cuore delle sue dinamiche”. (ec)