Migranti, "l’integrazione è un cantiere che ha sospeso i lavori"
ROMA - Il Dossier Statistico Immigrazione 2017 realizzato da Idos e Confronti in collaborazione con Unar (Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali) presentato oggi, pone una nuova riflessione sullo stato attuale dell’integrazione e inserimento dei cittadini stranieri nella società. Un percorso che gli osservatori definiscono “un cantiere con i lavori sospesi”, sottolineando come “il compito di un paese di immigrazione non si esaurisce nella prima accoglienza dei richiedenti asilo, bensì comporta anche il sostegno all’inserimento di tutti gli immigrati”.
“Corposa ed invadente presenza”. Se il problema della prima accoglienza merita un discorso a parte per la sua complessità e drammaticità, appare sempre più lampante come i cittadini stranieri facciano sempre più fatica ad essere accettati dagli italiani. Questo anche laddove gli immigrati mostrano attaccamento al belpaese. Sono i dati del dossier a confermarlo. Risulta infatti in continuo aumento l’incidenza percentuale dei titolari di un permesso come lungoresidenti (riguarda il 63% di tutti i cittadini non comunitari). Altri segni di questo radicamento sono le nuove nascite da genitori stranieri (69.379 nel 2016), i nuovi permessi per motivi familiari (103.500), l’incidenza (20,6%) e il numero dei minori (1.038.046 tra i residenti) dei quali più della metà è nato sul territorio italiano, pur non possedendone la cittadinanza. Continuano, inoltre, a essere numerosi i matrimoni misti (17.692).
Che gli italiani siano largamente condizionati da una falsa percezione è confermato dai risultati del sondaggio “The Ignorance Index”, condotto in 14 paesi da Ipsos-Mori, che mostrano in maniera netta una popolazione preoccupata di doversi confrontare con una “tanto corposa quanto invadente” presenza straniera, ritenuta da metà degli intervistati pari al 30% dei residenti. Anche la relazione della “Commissione Jo Cox”, promossa dalla Presidenza della Camera dei Deputati, non manca di evidenziare il peso dei pregiudizi, che su internet hanno conosciuto una diffusione virale e vengono invocati anche per motivare comportamenti illeciti.
Secondo il centro studi e ricerche IDOS, che ha promosso una survey online a cui hanno risposto oltre 700 persone nell’ambito del progetto comunitario eMore, quasi la metà degli intervistati (46%) (tra cui molti immigrati) ha affermato di essere stata vittima o testimone di esempi di incitamento all’odio (hate speech) online.
Contrasto alle discriminazioni, buoni esempi e ruolo delle Istituzioni. L’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) ha provveduto ad attivare nel novembre del 2015 l’Osservatorio nazionale contro le discriminazioni nei media e internet per monitorare l’attività online e in particolare sui principali social network (Facebook, Twitter, GooglePlus, Youtube). Uno strumento che è servito a constatare che il discorso d’odio, trasmesso da alcune frange estremiste, si è ormai diffuso trasversalmente tra i cittadini delle differenti classi di età, genere, condizione economica e sociale e in tutti gli ambiti della vita civile.
Il dossier sottolinea come è “facile immaginare il disagio nel quale vivono molte delle 2.470.000 famiglie che hanno almeno un membro straniero (in 7 casi su 10 composte solo da stranieri)” e il contrasto ai discorsi di odio razziale “va accompagnato con un maggiore impegno per far conoscere le buone prassi, sottolineandone la necessità per sostenere la convivenza nel contesto attuale e ancor più nel futuro, quando la società italiana avrà al suo interno un maggior numero di stranieri”.
Buone prassi che fortunatamente da nord a sud non mancano. Il Molise, ad esempio, ha accolto di buon grado oltre 3.000 richiedenti asilo, così come in Liguria gli immigrati arrivati di recente non si sono limitati a frequentare le associazioni “etniche” ma si sono iscritti anche a quelle di volontariato, al cui interno, con 930 adesioni, rappresentano il 3% di tutti gli iscritti. Esempi positivi non mancano neanche in contesti urbani più grandi e complessi: a Torino il 6 maggio 2017 nel quartiere a ridosso del mercato all’aperto più grande d’Europa, è stata celebrata la laurea degli studenti universitari di origine straniera, “dimostrando così” – sottolinea il dossier – “la consapevolezza che le persone formate ad alto livello sono indispensabili alle collettività immigrate in Italia e, qualora ritornino nei paesi di origine, sono i più efficaci ambasciatori del nostro paese e del made in Italy”.
A livello istituzionale va considerato un significativo passo in avanti l’approvazione della cosiddetta “legge Zampa” (legge n. 47/2017) per garantire una più efficace tutela dei minori nonaccompagnati. Un’altra legge importante è quella sullo ius soli sportivo (legge n. 12/2016), che consente ai minori stranieri regolarmente residenti in Italia almeno dal compimento del decimo anno di età di tesserarsi presso ogni federazione sportiva secondo le stesse procedure previste per i cittadini italiani (ma ciò nonostante si constata uno strascico di discriminazioni).
Che l’integrazione dei cittadini stranieri nella società sia un processo eternamente incompiuto è ormai un dato di fatto, e passa anche attraverso la questione della cittadinanza agli stranieri nati o venuti da piccoli in Italia e quello del dialogo interreligioso.
La riforma della legge sulla cittadinanza (legge n. 91/1992) dura da molte legislature e vedrà anche la presente chiudersi, molto probabilmente, con un nulla di fatto. Nel frattempo i genitori con almeno 10 anni di residenza in Italia stanno ottenendo sempre più numerosi la cittadinanza italiana per “naturalizzazione” (o per matrimonio). Secondo i dati del dossier immigrazione, i casi erano appena 35.266 nel 2006 e sono diventati 201.591 nel 2016, sei volte di più nell’arco di 10 anni (con un tasso di acquisizione di cittadinanza doppio se confrontato con i 841.000 casi registrati nel 2015 nell’Ue, a fronte di 36.917.762 residenti stranieri). Questi casi non riguardano solo i genitori ma anche i figli minorenni, ai quali la trasmettono automaticamente; come si vede, le barriere di accesso alla cittadinanza sono come un ponte levatoio che non funziona e sarebbe meglio assecondare di buon grado l’aspirazione dei figli degli immigrati, specialmente se nati in Italia, a essere cittadini italiani, abbattendo barriere comunque inefficaci e disfunzionali alla convivenza e alla coesione sociale.