Migranti. L’integrazione incompiuta: dalle mense alla scuola, disparità nei servizi
ROMA - Dall’accesso ai servizi essenziali di welafare alla casa e il lavoro, per gli stranieri residenti in Italia permangono problemi di scarsa integrazione o discriminazione. Ancora si riscontrano, ad esempio, disparità nell’accesso a misure assistenziali, come gli asili nido, le mense scolastiche, i bonus bebè e i sostegni per famiglie indigenti, al cui riguardo alcune Amministrazioni locali hanno emanato ordinanze puntualmente bocciate dai giudici, in quanto discriminatorie. Lo rileva il dossier Idos Immigrazione 2018, che parla di “integrazione incompiuta”.
Secondo il rapporto anche nell’accesso al mercato della casa gli stranieri restano particolarmente penalizzati, sia per gli affitti, a causa della frequente e dichiarata indisponibilità dei proprietari a locare a stranieri, sia per gli acquisti, a causa delle difficoltà di ottenere un mutuo. Ne consegue che quasi 2 stranieri su 3 abitano in affitto, spesso in coabitazione, e solo 1 su 5 in case di proprietà (di metratura mediamente limitata e soprattutto in contesti residenziali popolari e di periferia), mentre il resto abita o presso i datori di lavoro o da parenti e amici, a volte anche in condizioni di sovraffollamento. Le discriminazioni, poi, dilagano in internet, con un aumento esponenziale di discorsi d’odio razzista, spesso sulla base di rappresentazioni distorte che riguardano anche la religione di appartenenza, fomentando l’idea – come si sente spesso dire – che siamo “invasi da musulmani”, mentre tra gli immigrati i cristiani sono la maggioranza assoluta (2.706.000, pari al 52,6% del totale, secondo la stima di IDOS), con preminenza degli ortodossi (1,5 milioni) e dei cattolici (oltre 900.000), mentre i musulmani sono 1 ogni 3 (32,7%, pari a 1.683.000 persone).
In generale, in 45 anni di immigrazione in Italia, la popolazione straniera si è inserita nel tessuto sociale in maniera sempre più strutturale: basti pensare che sono diventati cittadini italiani 1 milione e mezzo di stranieri, dei quali 147.000 nel corso del 2017 (-27,3% rispetto agli oltre 201.000 del 2016); Idos stima poi circa 1 milione e 300mila gli stranieri nati in Italia (“seconde generazioni”), oltre un quarto di tutti i residenti stranieri. Di costoro, più di mezzo milione (503.000 giovani) è seduto tra i banchi di scuola e costituisce ormai i due terzi degli 826.000 alunni stranieri del paese, quasi un decimo (9,4%) di tutti gli scolari in Italia (dati Miur relativi all’a.s. 2016/2017). Molti di questi giovani di “seconda generazione” sarebbero potuti diventare italiani se nel settembre 2017 il Parlamento avesse approvato la riforma della legge sulla cittadinanza. Tra tutti i non comunitari regolarmente presenti in Italia ben 2 su 3 (2.390.000) sono titolari di un permesso permanentemente valido, o perché hanno maturato almeno 5 anni di ininterrotto soggiorno regolare (lungo-soggiornanti) o perché diventati parenti stretti di un cittadino comunitario già residente in Italia, per lo più italiano, ad attestare un grado di radicamento e stabilità ormai consolidato. Dei restanti 1.325.000 titolari di un permesso a termine (35,7%), che denota una presenza e uno status giuridico più precari, 3 su 4 sono in Italia per motivi familiari (39,3%) o di lavoro (35,2%), i quali indicano generalmente un’intenzione di permanenza stabile. A fronte di questi incontrovertibili segnali di radicamento, restano ancora irrisolti numerosi problemi di gestione e di inserimento.
Dei 239.000 titolari di un permesso inerente alla richiesta di asilo o alla protezione internazionale o umanitaria (1 ogni 5 titolari di un permesso a termine e 1 ogni 16 soggiornanti non comunitari), alla fine del 2017 erano circa 187.000 quelli inseriti nel sistema nazionale di accoglienza, in stragrande maggioranza (81,0% all’inizio del dicembre) nei Centri straordinari (Cas), nonostante le molteplici criticità che ne segnano spesso il funzionamento e i diversi casi di inadeguatezza (e, a volte, di malaffare) emersi nel corso degli anni. “In particolare, desta preoccupazione che in oltre un settimo dei casi la gestione dei Cas sia stata definita tramite affidamento diretto (1.430 su 9.358, il 15,3% del totale ad agosto del 2017) - sottolinea il dossier - un dato che si avvicina alla metà del totale in Calabria (49,3%) e in Molise (43,6%), mentre supera un terzo in Sardegna (36,9%) (fonte Camera dei Deputati)”.
Il dossier Immigrazione tende a sfatare anche la credenza che gli immigrati rubino il lavoro agli italiani: dei 2.423.000 occupati stranieri nel 2017 (10,5% di tutti gli occupati in Italia), ben i due terzi svolgono professioni poco qualificate o operaie (nelle quali sono rispettivamente un terzo e un ottavo degli addetti), siano esse nel settore dei servizi, dove i lavoratori stranieri si concentrano per oltre i due terzi (67,4%), o in quelli dell’industria e dell’agricoltura (dove trovano impiego rispettivamente nel 25,6% e nel 6,1%). Non sorprende, quindi, che siano sovraistruiti più di un terzo di essi (34,7%, contro il 23,0% degli italiani, per uno scarto di oltre 11 punti percentuali). In particolare, è straniero il 71% dei collaboratori domestici e familiari (comparto che impiega il 43,2% delle lavoratrici straniere), quasi la metà dei venditori ambulanti, più di un terzo dei facchini, il 18,5% dei lavoratori negli alberghi e ristoranti (per lo più addetti alla pulizie e camerieri), un sesto dei manovali edili e degli agricoltori. Inoltre i lavoratori immigrati restano ancora schiacciati nelle nicchie di mercato caratterizzate da impieghi pesanti, precari, discontinui, poco retribuiti, spesso stagionali e caratterizzati da sacche di lavoro nero (o grigio) e, quindi, di sfruttamento. In questo quadro, i disoccupati stranieri sono calcolati in 406.000, un settimo di tutte le persone in cerca di occupazione in Italia, per un tasso di disoccupazione del 14,3% a fronte del 10,8% relativo agli italiani. La scarsa mobilità professionale degli stranieri, tipica di un mercato rigidamente stratificato come quello italiano, li inchioda poi in situazione di subordine, che si riflette nel differenziale retributivo: in media, un dipendente italiano guadagna il 25,5% in più rispetto a uno straniero (1.381 euro mensili contro 1.029), mentre le donne straniere guadagnano in media il 25,4% in meno dei connazionali maschi. Proprio riguardo alla penalizzazione femminile, colpisce l’elevata quota di giovani straniere di 15-29 anni appartenenti alla categoria dei Neet (persone che né lavorano né seguono un percorso di formazione o tirocinio): ben il 44,3%, a fronte del 23,7% delle loro coetanee italiane. Si tratta di un dato connesso all’allarmante fenomeno dell’inattività femminile, che colpisce immigrate con più bassi titoli di studio e soprattutto di alcune collettività: a fronte di una media del 44,1% riguardante le donne straniere in generale (43,9% per le sole non comunitarie), le pakistane, egiziane e bangladesi raggiungono tassi di inattività di oltre l’80% (fonte Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali).