Migranti, l’Italia sta davvero affrontando “un’emergenza sbarchi”?
Migranti nel Mar Mediterraneo
ROMA - Sono 41.506 i migranti sbarcati in Italia nei primi otto mesi dell’anno. Undicimila in più rispetto al 1 agosto dello scorso anno, quando erano 29.350. Al primo posto nelle nazionalità di provenienza c’è la Tunisia (7.513), seguono Egitto (6.663), Bangladesh (6.151), Afghanistan (3.308) e Siria (2.370). I minori non accompagnati sono 4.345, in calo rispetto ai 10.053 dello stesso periodo del 2021. Eppure l’aumento generale degli sbarchi è già al centro della campagna elettorale in vista del voto del prossimo 25 settembre. Non a caso, il leader della Lega Matteo Salvini ha scelto Lampedusa tra le prime tappe del suo tour. Ma l’Italia è davvero di fronte a un’emergenza immigrazione?
Stando ai numeri, “l'aumento c’è ma è un aumento relativo, cioè su numeri bassi: parliamo di 40mila persone rispetto ai 29mila dello scorso anno. Basti pensare che tra il 2014 e il 2017 a fine luglio gli arrivi erano intorno ai 90-95mla- spiega Flavio Di Giacomo, portavoce di Oim (Organizzazione internazionale delle migrazioni) -. La ripresa degli sbarchi dipende dal periodo estivo, dal mare particolarmente calmo. Inoltre, la situazione in Libia è peggiorata, i migranti sono sempre di più vittime di violenze, abuse e violazioni dei diritti umani. E c’è un sistema di controllo del territorio meno efficace rispetto al passato, chi può fuggire dalla Libia cerca di farlo e può farlo”. Non solo, ma sul totale degli arrivi incide anche la rotta turco- calabra, attraverso la quale arrivano anche molti afgani in fuga dal regime dei talebani. “Il problema non è nei numeri, le persone fuggono per le condizioni in cui si trovano a stare, anche chi parte come migrante economico arrivato in Libia diventa un soggetto vulnerabile perché nel paese di transito subisce violazioni dei diritti umani ed è spesso vittima di tortura e tratta - aggiunge Di Giacomo -. C’è poi una situazione difficile in Tunisia e in Egitto”.
L’eterna emergenza di Lampedusa
E poi c’è la questione dell’isola di Lampedusa, ormai da anni in perenne “emergenza” durante la stagione estiva. Qui arrivano per la maggior parte persone con sbarchi autonomi, cioè non intercettati in mare dalle navi della marina militare italiana o delle ong. Secondo i dati dell’Osservatorio Lampedusa di Mediterranean Hope, il progetto della Federazione delle Chiese evangeliche, sul totale di 41mila arrivi circa la metà (ventimila) è stato registrato a Lampedusa. Di questi novemila sono avvenuti nel solo mese di luglio anche per le condizioni meteomarine particolarmente favorevoli.
“Il mare è buono e le persone si mettono in mare. E continueranno a farlo: è una situazione che vediamo ripetersi ogni anno. Ma parliamo di numeri piccoli anche se comparati agli arrivi di questi mesi dei profughi dall’Ucraina - spiega Giovanni D’Ambrosio, operatore di Mediterranean Hope che lavora sull’isola siciliana -. In queste settimane abbiamo visto arrivare anche molte famiglie con minori o minori non accompagnati. In particolare dalla Tunisia arrivano persone stremate dalla crisi in corso del paese, non vedono più alcuna prospettiva di futuro e lì. Dall’Egitto invece vediamo arrivare persone che fuggono da un governo autoritario. Molti ci hanno detto di aver provato a ottenere un visto, non ci sono riusciti e l’unica alternativa è stata quella di prendere il mare e mettersi in pericolo”.
Per Mediterranean Hope, Lampedusa non può diventare il punto in cui vengono fatti convergere i flussi migratori del Mediterraneo centrale, “non ha i servizi idonei per far fronte alle vulnerabilità e alle esigenze dei migranti che arrivano” spiega ancora D’Ambrosio. L’hotspot, infatti, reso inagibile da un incendio negli anni scorsi, ha una capienza massima che si aggira intorno ai 300 posti, ma nelle scorse settimane le presenze hanno sfiorato anche le mille unità. Con il sovraffollamento le condizioni di accoglienza erano al limite: con famiglie e bambini costretti a dormire fuori, carenza di servizi igienici e scarsità di cibo. Per questo le organizzazioni chiedono che venga organizzato un sistema di trasferimenti rapidi dall’isola alla terraferma. “L’emergenza è in Libia, in Tunisia, nel Mediterraneo centrale. Noi operiamo qui dal 2014 e continuiamo a ribadire che le soluzioni si possono trovare: corridoi umanitari, accesso a vie sicure e legali e sostegno a chi salva la vita in mare. A Lampedusa bisogna attivare trasferimenti veloci, con le navi o attraverso ponti aerei”.
La strage invisibile dei morti in mare
L’altra emergenza invisibile è quella delle morti in mare. Circa 700 i dispersi nei primi mesi dell’anno. Per questo le ong che operano per il salvataggio in mare (Sos Mediterranèe, Medici Senza Frontiere e Sea-Watch) hanno lanciato un appello per chiedere con urgenza l’avvio di un’attività di ricerca e soccorso (SAR) gestita a livello europeo nel Mediterraneo centrale.
Da una settimana la Geo Barents, nave umanitaria, attende l’indicazione di un porto sicuro con 659 persone a bordo. “Il mancato impegno a livello europeo di un’attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, oltre ai ritardi nell'assegnazione di un luogo sicuro di sbarco, hanno minato l'integrità e la capacità del sistema di ricerca e soccorso e quindi la possibilità di salvare vite umane - spiegano le ong -. Sebbene abbiamo sempre cercato di coordinare le nostre operazioni, come previsto dal diritto marittimo, le autorità navali libiche non hanno quasi mai risposto, trascurando il loro obbligo legale di coordinare l’assistenza. Inoltre, quando intervengono e intercettano le imbarcazioni in difficoltà, le autorità libiche rimpatriano sistematicamente e forzatamente i sopravvissuti in Libia, un paese che secondo le Nazioni Unite non può essere considerato un luogo sicuro.
Nonostante la grave mancanza di adeguate risorse per la ricerca e il soccorso in questo tratto di mare, le persone continuano a fuggire dalla Libia via mare, rischiando la vita per cercare salvezza. Nella stagione estiva, quando le condizioni meteorologiche sono più favorevoli per tentare un viaggio così pericoloso, le partenze dalla Libia sono più frequenti ed è quindi necessaria una flotta di ricerca e soccorso adeguata”.
La richiesta è di mettere a disposizione una flotta adeguata di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale gestita a livello istituzionale, e che fornisca una risposta tempestiva e adeguata a tutte le richieste di sos, unitamente a una pianificazione degli sbarchi dei sopravvissuti.