11 agosto 2015 ore: 13:19
Immigrazione

Migranti: “Le strutture della chiesa inutilizzabili per i vincoli regionali”

Il responsabile immigrazione di Caritas Italiana Forti risponde a Zaia: “Diocesi locali disponibili ad aprire seminari e istituti per l’accoglienza dei profughi, ma le norme di igiene e sicurezza quasi sempre lo impediscono. Se ci fosse una volontà comune molte rigidità si potrebbero superare…”
Immigrati a Palermo dormono in chiesa

- ROMA – La chiesa italiana parla tanto di accoglienza, ma poi non apre le sue strutture agli immigrati; tra cui i suoi enormi seminari ormai in gran parte vuoti. L’accusa è ritornata a margine della nuova polemica sull’immigrazione tra la Cei e Lega Nord, scaturita dall’intervista di ieri a Radio Vaticana del segretario della conferenza dei vescovi mons. Nunzio Galantino. A rilanciarla è il governatore leghista del Veneto Luca Zaia in un’intervista a “Repubblica”, facendo l’esempio del rifiuto da parte della diocesi di Treviso di mettere a disposizione il seminario per l’ultima burrascosa vicenda di accoglienza.

Fonti della chiesa hanno risposto più volte che la rete cattolica si accolla già una buona fetta dell’accoglienza, fornendo cifre che parlano oggi, per il solo circuito delle Caritas, di “15-20 mila immigrati transitati nelle nostre strutture, almeno un quinto del totale”. Ma è oggi lo stesso responsabile immigrazione di Caritas Italiana, Oliviero Forti, a fornire un argomento nuovo contro l’accusa espressa da Zaia. “E’ vero, gli spazi sono tanti – dice Forti – tra seminari, canoniche, vecchi istituti ecc. E in generale la chiesa sui territori sarebbe disponibile ad aprirli. Ma non è affatto facile: nella maggior parte dei casi non si possono utilizzare perché non rispondono ai criteri di sicurezza e di igiene stabiliti proprio dalle regioni”.

Forti dà voce a un tema molto discusso proprio nell’ultimo consiglio nazionale della Caritas, e cita anche la sua esperienza personale: “Mesi fa abbiamo mandato un elenco di strutture potenzialmente disponibili al ministero dell’Interno, ma per quasi tutte è stato impossibile avere l’accreditamento, c’era sempre un problema: la porta non a norma, il bagno non regolare, dimensioni inadeguate… E gli interventi richiesti per metterle in regola sono generalmente troppo costosi, o non convenienti sul breve periodo. Per questo il più delle volte, come Caritas, ci troviamo ‘costretti’ a organizzare un’accoglienza diffusa sul territorio, affittando appartamenti e altri locali e ovviamente aprendo tutte le nostre strutture che sono regolari”.

È quindi un problema di cui sono responsabili soprattutto le istituzioni, prefetture e regioni in particolare? “Le norme esistono e vanno rispettate – premette Forti – ma queste strutture non sono nate per accogliere persone migranti, specie in quantità così alte, sono nate per ben altri scopi. Noi diciamo però che se ci fosse la volontà da parte di tutti di affrontare il problema con un minimo di programmazione, alcune rigidità normative e burocratiche si potrebbero superare, trovando forme adeguate che garantiscano sia la sicurezza e l’igiene sia un livello dignitoso di accoglienza quotidiana. Ma bisogna farlo insieme, bisogna essere strategici…”.

L’accoglienza però non è solo una questione di strutture, ma di organizzazione più generale. “Certo – risponde il responsabile immigrazione di Caritas Italiana – per questo parlo di programmazione: se si riuscisse a fare un piano di respiro medio-lungo, si potrebbero prima individuare le strutture, poi definire i criteri condivisi per la loro messa a disposizione e poi organizzare la necessaria formazione e gli altri aspetti logistici. Così come gli spazi fisici, anche il personale della chiesa e del volontariato sui territori non sempre è immediatamente pronto a fronteggiare questo lavoro: ci sono conoscenze, esprienze e modalità operative da acquisire. L’accoglienza non si improvvisa, né dal punto di vista strutturale né da quello umano”. (st)

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