Migranti: morti e respinti lungo i confini con Francia, Svizzera e Austria
Foto Medici senza frontiere
MILANO - Ai confini con Francia, Svizzera e Austria si muore o si viene umiliati. E molti profughi vengono riportati nel sud Italia, in una sorta di gioco dell'oca, che può ripetersi più volte. I capitoli dedicati al nord Italia nel rapporto "Fuori campo" di Medici senza frontiere fotografano una situazione di grave emergenza. Da quando i tre paesi confinanti con l'Italia hanno chiuso le frontiere, sono morti 23 migranti nel tentativo di aggirare i controlli: investiti da treni o camion, folgorati dall'alta tensione sopra i tetti dei convogli, precipitati nei burroni lungo i sentieri alpini. Si contano 15 deceduti sul confine con la Francia, sei con l'Austria e due con la Svizzera. Per centinaia di altri migranti, che per fortuna non ci rimettono la vita, il destino è quello di subire "ripetuti respingimenti ai confini, spesso accompagnati da violenze" denuncia Medici senza frontiere. Si tratta spesso di "respingimenti collettivi e sommari verso il nostro Paese, sulla base di accordi di cooperazione bilaterali e contravvenendo agli Accordi di Schengen sulla libertà di circolazione che prevedono controlli alle frontiere interne solo in via eccezionale e temporanea, in presenza di rischi per l’ordine pubblico o la sicurezza di uno Stato membro".
Il blocco verso i Paesi del nord Europa ha inevitabilmente fatto crescere "il numero di persone bloccate alle frontiere che vivono in insediamenti informali -si legge nel rapporto-, con un accesso limitato ai beni essenziali e all’assistenza sanitaria". "Quando non sono accolti in strutture governative, sono costretti a vivere in insediamenti informali, all’aperto, con un accesso limitato ai beni essenziali come un riparo, cibo, servizi igienici, assistenza sanitaria". Ma ci sono anche due aspetti paradossali, che aggiungo sofferenza a una situazione già di per sé difficile. Il primo lo si riscontra al confine di nord est, in Alto Adige e nel Friuli Venezia Giulia. Ci sono, infatti, centinaia di migranti, arrivati in Italia seguendo la rotta balcanica, che non trovano accoglienza nei centri, perché sono in attesa che la loro domanda d'asilo venga formalizzata. In pratica, si è creata una sorta di "fila" che mette in attesa per settimane i migranti che arrivano dalla rotta balcanica. E fin quando non avviene questa formalizzazione della domanda, non si viene accolti. "Una scelta rivendicata pubblicamente dalle amministrazioni comunali per scongiurare un presunto fattore d’attrazione verso altri arrivi indesiderati", raccontano i volontari di Medici senza frontiere. E così a Trieste, Gorizia, Pordenone e Udine donne, uomini e bambini dormono all'aperto o in edifici abbandonati. A Pordenone "i richiedenti dormono nei fossati di fronte alla caserma Monti, sotto il teatro Verdi, sulle scale antincendio del palazzetto dello sport, perennemente inseguiti dai vigilantes privati pagati dal Comune, che per far rispettare l’ordine e il decoro li allontanano con la forza, di notte e di giorno, sequestrandone gli effetti personali, tra cui i sacchi a pelo donati da Medici senza frontiere, requisiti e mai più restituiti".
A Gorizia "alla fine di settembre, per i quattro giorni di 'Gusti di frontiera', una delle manifestazioni turistiche più importanti dell'anno organizzate dal Comune, ai richiedenti è stato consentito di soggiornare in una struttura di accoglienza, salvo ritrovarsi di nuovo in strada il giorno dopo la conclusione dei festeggiamenti". In Alto Adige è stata emanata dalla Provincia autonoma la circolare "Critelli", in base alla quale "l'accoglienza è negata a tutti coloro che risultano essere stati in altri Stati esteri nei quali vi era la possibilità di chiedere asilo o in altre regioni italiane; l’accoglienza può essere concessa solo in presenza di gravi motivi (per esempio di salute), ma fino a un massimo di tre giorni". Una sorta, quindi, di "localismo" dell'accoglienza che mira soprattutto a escludere e respingere.
Il secondo aspetto paradossale della situazione dei profughi nel nord Italia tocca quelli che tentano la via verso il nord Europa passando da Ventimiglia o Como: rischiano di essere riportati indietro, nel sud Italia e in particolare a Taranto. Le prefetture infatti organizzano autobus sui quali vengono caricati i profughi. "Delle 14.576 persone transitate dall'hotspot di Taranto da marzo a ottobre 2016, solo 5.048 sono provenienti da sbarchi, per il resto si tratta di stranieri rintracciati sul territorio italiano e condotti nel centro per essere identificati. Dopo il trasferimento forzato, la maggior parte dei migranti torna al nord, alimentando un flusso circolare da molti rinominato 'Gioco dell’oca'". (dp)