Migranti: praticabile l’asilo europeo, pericolose le domande all’estero
ROMA – Superare il regolamento di Dublino e arrivare a una politica di immigrazione europea, con un diritto d’asilo europeo. La proposta è stata rilanciata ieri dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, in un’intervista al Corriere della sera. Su questa ipotesi si sta ragionando anche nel vertice, previsto per oggi, tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il premier spagnolo Mariano Rajoy. Ma si tratta di un’ipotesi percorribile? Quali sono i pro e contro della proposta? E cosa si intende realmente per asilo europeo?
Regole comuni sull’asilo sono già previste dal Trattato sul funzionamento dell’Ue. Una politica comune in materia di asilo e immigrazione è già prevista dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. “La richiesta italiana è ragionevole, se si tiene conto che è un’ipotesi prevista dal Trattato – sottolinea Gianfranco Schiavone, giurista esperto di immigrazione e membro dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) – Qui, all’articolo 78, si dice chiaramente che le istituzioni adottano misure comuni relative all’asilo e una politica uniforme valida in tutta Europa. Ma di fatto, per ora le ipotesi avanzate dall’Italia hanno una vaghezza politica, si tratta di cose dette in maniera generica e difficili da decifrare. L’aspetto più chiaro è la volontà di superare il regolamento di Dublino, una cosa che sicuramente va fatta, anche se il nostro paese non ha presentato proposte reali su questo aspetto durante il semestre di presidenza europea. L’unica ipotesi avanzata è quella del mutuo riconoscimento tra paesi, probabilmente si intende questo quando si parla in maniera generica di asilo europeo”.
- Mutuo riconoscimento tra paesi per consentire libertà di circolazione e di soggiorno per i rifugiati. La proposta del mutuo riconoscimento prevede che una volta ottenuto la protezione internazionale, il rifugiato sia libero, non solo di circolare negli altri paesi europei, ma anche di cercare un lavoro e stabilirsi laddove le condizioni di vita sono più favorevoli.
“E’ una necessità che il nostro paese ha sostenuto più volte. Per ora quando un rifugiato ottiene lo status, può circolare ma non decidere di andare a cercarsi un lavoro in un altro paese dell’Unione. Questa ipotesi è contemplata solo per i rifugiati che abbiano ottenuto il permesso di soggiorno Ue di cinque anni e che possano dimostrare un buon inserimento socio economico nel paese. Ma è un circolo vizioso: se sono ben inserito che necessità ho di spostarmi? – spiega Schiavone -. Il vero obiettivo della proposta italiana è prevedere la possibilità dei titolari di protezione internazionale di poter vivere in qualsiasi altro stato dell’Unione. Tra l’altro, si tratta di una misura che incide solo in parte su Dublino perché la domanda si fa sempre nel primo paese di approdo, ma ha comunque un effetto derivato sul regolamento in quanto viene meno il vincolo di soggiorno”.
Secondo l’avvocato dell’Asgi, questa ipotesi farebbe anche diminuire il fenomeno dei cosiddetti “transitanti” cioè di coloro che non si fanno identificare nei paesi dove arrivano, come Italia o Grecia, per andare a fare domanda d’asilo in altri stati dell’Unione. “Il principale motivo per cui aggirano Dublino è la paura di chiedere asilo in paesi dove non vedono un futuro. Se, invece, si consente lo spostamento potrebbe essere una misura accettata – aggiunge – Potrebbe essere presentata come una misura graduale e vincolata a dei criteri come la ricerca di un lavoro o la dimostrazione di avere dei legami nel paese dove ci si vuole stabilire”.
Le criticità della proposta: il “no” dei paesi ricchi e la difformità della regolamentazione nazionale. La proposta potrebbe essere osteggiata, però, dai paesi già oggi meta dei richiedenti asilo perché economicamente più attraenti. “A chi obietta che questa possibilità farebbe spostare i rifugiati nei paesi più ricchi, rivelandosi potenzialmente dannosa, va detto che le la norma, se vuol essere efficace, deve regolare fenomeni che già esistono – aggiunge Schiavone - . Già ora assistiamo a una migrazione interna di rifugiati da un paese all’altro dell’Unione. La differenza è che ora si fa in maniera illegale e rischiosa, in futuro invece potrebbe essere normata”.
L’altro problema riguarda la difformità con la quale le domande d’asilo vengono riconosciute a livello europeo. “C’è una discrepanza elevatissima. E sorprende che questa disparità resista nonostante il processo di armonizzazione delle procedure e la presenza di un’agenzia europea come l’Easo. Questo è un problema di cui si parla poco, perché è un aspetto tecnico, ma politicamente scivoloso che potrebbe rendere molto difficile l’idea di un diritto d’asilo europeo”.
Domande d’asilo nei paesi transito: “Ipotesi estremamente pericolosa”. L’altro aspetto su cui l’Italia sta lavorando nell’ottica di una politica comune sulla protezione internazionale è quella di permettere ai profughi di fare domanda di asilo politico prima di arrivare in Europa, in centri di smistamento allestiti nei paesi di transito. “Il riconoscimento delle domande d’asilo all’estero è estremamente pericoloso per due motivi – spiega ancora Schiavone -. Uno di carattere politico: c’è il rischio che venga percepito e usato come alternativa all’arrivo diretto da parte delle persone. In un’ottica perversa, dunque, solo quelli che fanno domanda nei paesi di transito sono da considerarsi richiedenti, mentre gli altri finirebbero per essere identificati come truffaldini. E questo scaverebbe una fossa alla convenzione di Ginevra, il cui cardine sta proprio nella possibilità di fuggire e chiedere asilo in un altro paese. Di sicuro, dunque, le persone continueranno a partire lo stesso ma avrebbero meno diritti”.
L’altro aspetto critico riguarda le modalità con cui vengono vagliate le domande. “La direttiva europea procedure n.32 /2013 prevede standard chiari e rigorosi per l’esame della domanda d’asilo, spiega i diritti del richiedente e parla anche della possibilità di fare ricorso giurisdizionale. Qualcuno dovrebbe spiegare come può avvenire questo al di fuori della giurisdizione dello stato europeo coinvolto nella richiesta d’asilo. E’ chiaro che le procedure subirebbero una compressione così come i diritti del richiedente. Non basta che ci siano organizzazioni come l’Oim e l’Unhcr a fare da garanti, servono giudici titolati a esaminare i ricorsi”.
Secondo l’Asgi quello su cui si può continuare a lavorare è invece il reinsediamento per i richiedenti la cui domanda sarà sicuramente accolta, come nel caso dei siriani. “Per queste persone lo strumento internazionale esiste e noi lo stiamo usano in maniera ridicola – aggiunge – Il reinsediamento prevede che lo stato interessato accetti di riconoscere la domanda di asilo di un cittadino di un paese terzo la cui richiesta è stata esaminata da un’organizzazione come l’Unhcr. La Commissione ha proposto che questa misura vada gradualmente a regime, gli stati europei non sono tutti concordi, ma è di sicuro un’ipotesi da rilanciare. Fa parte di quegli strumenti che già ci sono e potrebbero permettere di governare il fenomeno fin da subito”. (ec)