31 luglio 2018 ore: 14:24
Immigrazione

Migranti, scoppia il caso Asso 28. “Fatto grave, è respingimento”

Una nave italiana ha sbarcato a Tripoli i migranti soccorsi in mare. Evento senza precedenti. Schiavone (Asgi): “Nuovo caso Hirsi, c’è responsabilità italiana”. Vassallo Paleologo: “Frutto di accordi con Libia, la creazione Sar libica serve a giustificare respingimenti collettivi”. Villa (Irpi): “Zona grigia di incertezza”. Arci: “Vergognoso”
Immigrati su parapetto di una nave

ROMA  - La Asso 28, nave italiana di supporto a una piattaforma petrolifera, ha salvato e riportato in Libia 108 migranti. Secondo le prime ricostruzioni è stato il Centro di coordinamento di Roma a dare indicazione al capitano della nave di coordinarsi con la Guardia costiera libica, che ha poi indicato come porto di sbarco Tripoli. La notizia riportata dal quotidiano Repubblica sta già facendo discutere: è la prima volta infatti che una nave italiana riporta indietro in Libia migranti soccorsi nel Mediterraneo. Un fatto senza precedenti, che secondo diversi giuristi, viola la legislazione internazionale e si configura come respingimento collettivo, paragonabile al caso Hirsi del 2009  per il quale l’Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il ministro dell’Interno Matteo Salvini in un tweet prende le distanze: “La Guardia Costiera Libica nelle ultime ore ha salvato e riportato a terra 611 immigrati. Le ong protestano e gli scafisti perdono i loro affari? Bene, noi andiamo avanti così! #portichiusi#cuoriaperti” scrive sui social.

Di diverso avviso è Fulvio Vassallo Paleologo, dell’Adif – Associazione Diritti e Frontiere: giurista dell’Università di Palermo ed esperto di diritto internazionale e di diritti dei migranti. “Quanto accaduto con la Asso 28 è frutto dell’attuazione degli accordi con la Libia dello scorso anno e rafforzati quest’anno, che hanno portato alla creazione di una zona sar libica: una volta ritenuta tale consente alla Guardia costiera libica di coordinare i soccorsi e di far dire alla Guardia costiera italiana che non ha alcun ruolo di coordinamento, come Salvini sta ripetendo da stamattina - sottolinea a Redattore sociale-. Tutto questo serve solo a legittimare azioni di respingimento collettivo”. Per Vassallo ci sono evidenti assonanze con il caso Hirsi : “anche se - aggiunge - oggi ho forti dubbi che con questo clima politico la Corte europea possa avere indipendenza di giudizio per confermare la giurisprudenza Hirsi”. In ogni caso per il giurista, anche se a coordinare l’operazione è stata la Guardia costiera libica, la responsabilità italiana è innegabile. “Ci sono documenti su documenti che confermano come la Guardia costiera libica operi in stretto coordinamento con la Marina militare italiana, che a Tripoli ha sua unità navale - spiega - Quindi da un punto di vista formale il coordinamento è stato affidato ai libici in violazione dei trattati internazionali ma sul piano fattuale nessuno potrà negare che la Marina militare italiana ha collaborato con il coinvolgimento italiano”. Secondo Vassallo "l'istituzione della zona Sar libica, autoproclamata dal governo di Tripoli, che alla fine di giugno l'ha notificata all’IMO, è lo strumento essenziale per camuffare i respingimenti collettivi delegati alla guardia costiera libica, che libica non è”.

Nel caso specifico, “i tracciati evidenziano chiaramente che i soccorsi operati dal rimorchiatore italiano Asso 28 si sono verificati in una zona molto prossima alle piattaforme petrolifere del bacino di Bouri Field/Sabratha, una zona che è strettamente presidiata dalla Marina militare italiana, anche per garantire la sicurezza dei lavoratori delle piattaforme e dei mezzi di servizio - scrive su Adif diritti e frontiere -. Di fatto l’ultima meta raggiungibile partendo con i gommoni dalle coste libiche, dopo che quasi tutte le ong sono state allontanate. Persone oggi abbandonate al loro destino, in mare, o nei campi di detenzione in Libia, dove sembra raddoppiata in questi ultimi mesi la presenza dei migranti che per i libici sono soltanto “illegali”, donne in gravidanza e minori compresi”.

Sulla stessa scia anche Gianfranco Schiavone, vicepresidente di Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione). “ Non vedo come non si possa parlare di responsabilità italiana: la nave batte bandiera italiana e ha agito in acque internazionali sotto la giurisdizione italiana- afferma - .Pare evidente, infatti, che sia stato l’Mrcc di Roma a dare indicazione al capitano della nave di chiamare la Guardia costiera libica. Se così non fosse il centro di coordinamento di Roma deve chiarirlo ufficialmente. Altrimenti la responsabilità italiana resta evidente al 100 per cento, perché l’operazione coordinata da Roma ha declinato la responsabilità a favore dei libici e quindi l’Italia è responsabile delle violazioni commesse. E’, infatti difficile pensare che il capitano della nave abbia agito in base a una sua libera iniziativa”. L’Italia rischia quindi, a distanza di nove anni un nuovo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e una nuova condanna. “Il caso è praticamente identico al caso Hirsi: abbiamo un respingimento collettivo, vietato dal quarto protocollo della Cedu. C’è poi la violazione dell’articolo 3 della Convenzione di Ginevra che parla di divieto di tortura: il respingimento è avvenuto in una Libia persino peggiore di quella del 2009. E, infine, c’è il mancato accesso alla procedura d’asilo per le persone soccorse. Abbiamo cioè tutti le violazioni già presenti nel caso Hirsi”. 

Più cauta, invece, la posizione del ricercatore dell’Ispi Matteo Villa secondo il quale la responsabilità è in capo al capitano della nave Asso 28 nel caso “abbia contattato direttamente Tripoli e poi abbia deciso di riportare le persone in Libia”. Nel caso, invece, di un contatto iniziale con l’Mrcc di Roma “non è perfettamente semplice e diretto chiarire se la responsabilità possa estendersi all’Italia” scrive. Di certo per Villa esiste “una zona grigia (e paradossale) creata da due posizioni opposte e contrarie: il fatto che da fine giugno esista un centro di coordinamento dei salvataggi a Tripoli, e quello che secondo sentenze italiane e straniere la Libia non può essere considerata luogo sicuro in cui ricondurre i salvati. Dunque formalmente Tripoli può coordinare i salvataggi, ma le imbarcazioni sotto il coordinamento di Tripoli e non battenti bandiera libica non posso sbarcare i salvati in Libia”. Una situazione che di fatto creaa un'ampia incertezza anche dal punto di vista giuridico.

Intanto l’Unhcr fa sapere che sta “raccogliendo tutte le informazioni necessarie sul caso del rimorchiatore italiano Asso Ventotto che avrebbe riportato in #Libia 108 persone soccorse nel Mediterraneo. La Libia non è un porto sicuro - sottolinea in un tweet - e questo atto potrebbe comportare una violazione del diritto internazionale”.

Alcune organizzazioni della società civile stanno già esprimendo sdegno per quanto accaduto. L’Arci, in una nota accusa il ministro dell’Interno che così “espone l'Italia a una nuova, certa condanna con le relative pesanti conseguenze, anche economiche. Che le persone riportate a Tripoli saranno certamente sottoposte a trattamenti disumani e degradanti, come hanno più volte ribadito le Nazioni Unite e tutte le organizzazioni indipendenti che hanno raccolto testimonianze nei lager della Libia, al governo non interessa - sottolinea Arci -. E che per questi motivi la Libia non possa essere considerato porto sicuro l’ha affermato anche la Commissione Europea. Riportare le persone nelle mani degli aguzzini che li hanno torturati, violentati e ricattati è vergognoso.  Un comportamento disumano di cui questo governo e il suo Ministro dell’Interno, che agisce in violazione dei principi costituzionali su cui ha giurato, prima o poi dovranno rispondere. (Eleonora Camilli)

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