22 maggio 2015 ore: 15:30
Immigrazione

Migranti “trattenuti” fino a 12 mesi, così si allontana l’abolizione dei Cie

Lo schema del decreto accoglienza trasmesso al Parlamento prevede la permanenza estesa a un anno per esaminare i ricorsi sulle richieste di protezione respinte. L’analisi di Savio (Asgi) e del sen. Manconi. "Meno tutela giuridica". "Una forzatura"
Cie, filo spinato, immigrazione

ROMA – Si allontana l’ipotesi di abolizione dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie): se lo schema di decreto legislativo sull’attuazione delle direttive Ue su accoglienza dei richiedenti protezione internazionale trasmesso in questi giorni al Parlamento dal Viminale dovesse passare così com’è, non solo ci sarebbero “nuove motivazioni” per la sopravvivenza dei Cie, ma potrebbero anche essere riaperti quelli attualmente chiusi. A mettere in guardia da un ritorno al passato il parere di Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato e quello di Guido Savio, dell’associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione (Asgi).  

A preoccupare è l’articolo 6 che regola il trattenimento nei Cie dei richiedenti protezione internazionale. Articolo che al primo comma chiarisce: “Il richiedente non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la sua domanda” e che per Savio non introduce grosse novità. Il trattenimento previsto dallo schema, spiega Savio, “scatta sostanzialmente nelle stesse condizioni di oggi, con qualche miglioramento”. Secondo quanto riporta la relazione illustrativa del decreto, potrebbe riguardare i “richiedenti che hanno commesso i reati gravi previsti dalla Convenzione di Ginevra, richiedenti che sono pericolosi per la sicurezza nazionale, per l'ordine pubblico o comunque per la pubblica sicurezza perché destinatari di una misura di prevenzione”. Si aggiungono gli stranieri “già trattenuti in un Cie ai fini dell'esecuzione di un provvedimento di rimpatrio”. In quest'ultimo caso, spiega il testo, il richiedente sarà trattenuto “quando si hanno fondati motivi per ritenere che la domanda sia strumentale e miri ad impedire l'esecuzione del provvedimento di espulsione”. A tali casi si aggiunge l'ipotesi in cui il richiedente sia “considerato a rischio di fuga”.

Nuova la proposta dei 12 mesi, nonostante la possibilità di andare oltre i 3 mesi previsti dalla legge 161 del 30 ottobre 2014, in alcuni casi ci sia già. I dodici mesi riguardano la “durata massima del trattenimento ai fini dell'esame della domanda di protezione internazionale”, spiega la relazione, che per il Viminale è un periodo di tempo “adeguato, tenuto conto dei tempi di esame della domanda da parte della Commissione e dei tempi dell'eventuale ricorso giurisdizionale”. Per Savio, però, “vuol dire scoraggiare i ricorsi. Ha una funzione deflattiva della tutela giurisdizionale. In alcune sedi sono abbastanza veloci, ad esempio a Torino in cinque o sei mesi si conclude tutto, ma ci sono anche casi in cui si è arrivati a tre o quattro anni”. Ad oggi, infatti, la possibilità di prolungare oltre i tre mesi la permanenza in un Cie, spiega Savio, non va oltre i 4 mesi. Ai novanta giorni, infatti, viene aggiunto un periodo di massimo di 30 giorni per valutare la domanda di protezione.

Il prolungamento del trattenimento fino a 12 mesi, che per Savio potrebbe essere stato pensato per disincentivare gli abusi, tuttavia, rischia di penalizzare chi ha realmente bisogno di protezione. “I dodici mesi sono una novità finalizzata a disincentivare la tutela giurisdizionale. Serve a scoraggiare i ricorsi strumentali, quelli fatti proprio per guadagnare tempo sperando di uscire. Col rischio di stare dentro 12 mesi ci pensi due volte. Il problema dell’abuso c’è, è fisiologico, ma nel mucchio c’è anche una percentuale che potrebbe aver ragione”.

Per Manconi, la permanenza di 12 mesi andrebbe valutata attraverso il “criterio dell’efficacia”. “Servono 12 mesi per rispondere al ricorso? Dodici mesi in un Cie equivalgono ad un trattenimento estremamente pesante.  Sembra una sanzione piuttosto che una misura utile per aspettare la risposta delle commissioni. Bisogna accelerare i tempi dei ricorsi e delle domande, non protrarre all’infinito l’attesa”. Secondo il senatore, però, a preoccupare non sono solo i 12 mesi. C’è anche l’ampliamento dei possibili destinatari della misura “attraverso l’indicazione di un criterio di pericolosità che formulerebbe il questore sulla base di alcuni indicatori che un tribunale dovrebbe confermare – spiega Manconi -. Non bastavano forse le categorie già definite fino ad adesso? Si rischia che quella definizione di pericolosità sia affidata a valutazioni molto opinabili, discrezionali e scarsamente fondate. Queste perplessità mi indicono a dire che sarebbe meglio non introdurre questa nuova previsione”.

Dopo la chiusura di oltre la metà dei Cie esistenti sul territorio nazionale, attualmente sono cinque quelli ancora aperti: Torino, Roma, Bari, Trapani e Caltanissetta.  L’aumento dei possibili destinatari della misura e il previsto prolungamento dei tempi di trattenimento, tuttavia, potrebbe cambiare nuovamente lo scenario. Stavolta in modo inaspettato. “La prospettiva di abolire i Cie, perché in primo luogo superflui, diventa più difficile – spiega Manconi -. È come se il ministro dell’Interno e il governo avessero elaborato una nuova motivazione per la loro sopravvivenza che, però, cozza con quello che era la ragione istitutiva dei Cie, a partire dal nome, centri di identificazione ed espulsione, cosa diversa da luogo per richiedenti asilo. Ancora una volta c’è una forzatura giuridica rispetto alla fisionomia di questi centri”.

Questione Cie che arriva, secondo Savio, proprio negli anni dell’emergenza richiedenti. “L’affare Cie si sta sgonfiando da solo, è inutile, se ne sono convinti tutti – spiega Savio -. Ma nel momento in cui c’è l’emergenza rifugiati, ecco che guarda caso il Cie ritorna utile non per le sue funzioni originarie, ma per trattenere il richiedente asilo che potrebbe non avere questo diritto. Diventa di nuovo uno strumento di controllo di una immigrazione che si presume irregolare anche se finalizzata alla domanda di asilo”. E dall’allontanare la chiusura di ulteriori Cie alla riapertura di quelli già chiusi il passo è breve. “O questo decreto rimane una lettera morta – conclude Savio -, oppure, se vuoi tenere tutte queste persone, devi ripristinare i Cie che sono stati chiusi. Se il testo dovesse passare così o riaprono oppure finisce all’italiana, si urla e si strilla e basta”. (ga) 

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