24 luglio 2017 ore: 13:59
Immigrazione

Migranti, "urgente presidio umanitario a Roma": appello a sindaca e prefetta

L’associazione Medu scrive ai responsabili istituzionali: “sembrano essersi dimenticate dei migranti più vulnerabili che giungono nella capitale. Ma la maggior parte delle persone visitate ha subito tortura”. A Tiburtina 150 persone, Baobab experience si appella a Ferrovie: “Fateci aprire un presidio permanente”
Francesco Pistilli Immigrati a Roma. Foto di Francesco Pistilli

Foto di Francesco Pistilli

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Immigrati a Roma. Foto di Francesco Pistilli

ROMA - “E’ urgente predisporre un presidio umanitario per i migranti più vulnerabili a Roma”. Lo ha scritto nero su bianco lo scorso 11 luglio, Medici per i Diritti Umani alla sindaca Virginia Raggi e alla prefetta Paola Basilone, segnalando la grave situazione in cui si trovano centinaia di migranti nei pressi della stazione Tiburtina. “Se si eccettuano i ripetuti sgomberi messi in atto senza soluzioni alternative, anche quest'anno le istituzioni sembrano essersi dimenticate dei migranti più vulnerabili che giungono nella capitale – spiega l’organizzazione -. L'unico supporto arriva dai cittadini e da associazioni come Baobab Eperience, Medu e la Rete legale”.

- Ogni giorno a Tiburtina 150 migranti in condizione precaria. Nella lettera Medu ricorda che è attualmente presente tre volte a settimana con la propria clinica mobile nei pressi della stazione Tiburtina - Piazzale Spinelli/Chiaromonte – “dove ogni giorno circa 150 migranti si trovano costretti a vivere in condizioni di estrema precarietà. Negli ultimi mesi, in concomitanza con l’aumento degli sbarchi, si è assistito infatti ad un progressivo ma significativo aumento delle presenze. Nel solo mese di giugno i medici della clinica mobile hanno effettuato 180 visite a 107 pazienti, riscontrando in molti casi importanti vulnerabilità”. In base ai dati raccolti da Medu nel corso delle visite, la popolazione presente è costituita principalmente da migranti provenienti dall’ Eritrea (circa 60%), dal Sudan e dal Sud Sudan (30%), con una presenza minore di somali, curdi iracheni, etiopi, siriani e persone provenienti dall’Africa centrale e occidentale. Il 9% dei pazienti erano minori stranieri non accompagnati e il 4% erano donne.

Le problematiche sanitarie più diffuse sono attribuibili alle attuali condizioni di vita e alle drammatiche condizioni di viaggio: la gran parte delle persone visitate ha affermato di essere stata sottoposta a tortura o ad altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti in Libia, lungo le rotte migratorie e nei luoghi di detenzione. La maggior parte di queste persone si trova in condizioni psico-fisiche estremamente precarie. Molti presentano lesioni e ustioni occorse durante il viaggio in mare e, spesso, durante i naufragi; conseguenze di traumi e percosse; infezioni e malattie dermatologiche legate alle scarse condizioni igieniche. Il susseguirsi delle operazioni di sgombero della zona (6 negli ultimi 3 mesi), ha comportato un peggioramento delle condizioni di vita pur non evitando che il numero di persone presenti nell’insediamento aumentasse.

Nella totalità dei casi si tratta di persone che sono state sottoposte alle procedure di identificazione al momento dello sbarco. Le ragioni per cui si trovano in strada sono principalmente: la difficoltà di accedere alla procedura di relocation per gli eritrei e la volontà di raggiungere altri paesi europei (in particolare la Francia) per i sudanesi. Il 54% degli eritrei ha infatti affermato di essere stato accolto alcune settimane o alcuni mesi in centri di accoglienza (C.a.s., Hub ed ex C.a.r.a., C.a.s. per minori) in diverse parti d’Italia subito dopo lo sbarco, ma di non aver ricevuto alcuna informazione e alcun sostegno in merito al programma di relocation. Le persone, in maggioranza sudanesi, che tentano di attraversare il paese diretti in Francia, arrivano invece a Roma a pochi giorni dallo sbarco nelle condizioni di estrema vulnerabilità sopra descritte.

“Riteniamo fondamentale che le istituzioni di Roma Capitale e la Cabina di regia recentemente istituita presso la Prefettura si impegnino - per quanto possibile nell’ambito di una situazione determinata da fattori e politiche nazionali e internazionali - a trovare una soluzione adeguata a quella che possiamo definire una “crisi umanitaria permanente” nella nostra città che rende le persone coinvolte sempre più esposte a violenze e abusi ed esaspera e polarizza il dibattito politico e sociale sul tema della migrazione – conclude la lettera -. Crediamo dunque che sia assolutamente necessario garantire immediata accoglienza alle persone che stanno seguendo, o cercano di avviare, la procedura di relocation, per il breve tempo necessario al trasferimento, come misura di urgenza in attesa che sia garantito l’accesso al programma da tutte le Questure del Paese, e che venga garantito alle persone in transito l’accesso all’informazione e ai diritti di base. Per queste ragioni torniamo a chiedere l’urgente implementazione di un presidio umanitario in grado di fornire tre cose essenziali: prima accoglienza, assistenza socio-sanitaria e informazione/orientamento legale”.

Anche l’associazione Baobab experience, che gestisce il campo informale di Tiburtina, a piazzale Maslax (nome dedicato alla memoria di un migrante che si è tolto la vita) ha scritto una lettera appello a Ferrovie dello Stato per chiedere un presidio permanente. “In questi due anni, abbiamo costantemente dovuto far fronte alla indisponibilità delle istituzioni cittadine a consentire che l'assistenza ai migranti potesse essere fornita in un luogo adatto a garantire condizioni umanamente accettabili per loro e a minimizzare l'impatto della loro presenza sulla comunità dei cittadini. I venti sgomberi forzati che Baobab Experience ha subito nei suoi due anni di vita hanno prodotto ulteriori disagi e sofferenze sui migranti, e non hanno risolto alcuno dei problemi che oggi in tanti a loro attribuiscono – si legge -. Dopo venti sgomberi, non è aumentata la sicurezza della nostra città. Non ne è aumentato il livello di pulizia e decoro. Non è diminuita la marginalizzazione e l'esclusione di chi arriva, né i rischi ad esse associati. E soprattutto, gli arrivi non si sono fermati, e non si fermeranno. Noi pensiamo che si possa fare meglio di così. Sappiamo che il Gruppo che lei guida è molto impegnato sul terreno della responsabilità sociale, e che numerose iniziative sono state già intraprese per il recupero a fini sociali di immobili non più utilizzati per attività industriali – continua la lettera -. Per questo, le proponiamo di intraprendere insieme un percorso coraggioso, di concederci l’utilizzo del parcheggio per bus abbandonato in via Giovanni Chiaromonte, dietro la Stazione Tiburtina. Quella lingua di asfalto, che volontari e migranti hanno ribattezzato “Piazzale Maslax” per ricordare il ragazzo somalo che si è tolto la vita dopo essere stato strappato alla sorella in Belgio per essere riportato in Italia, può diventare un campo che assicuri condizioni minimali di assistenza, sicurezza, pulizia, e decoro, e nel quale sperimentare insieme, anche trovando soluzioni comuni per la riqualificazione dell’area, un nuovo modello di accoglienza che possa fare da esempio di fronte ai fallimenti di un sistema che non dà più risposte e genera solo degrado, conflitto e paura. Saremo pronti ad attrezzare un presidio umanitario in pochissime ore – concludono - grazie all’aiuto delle associazioni mediche e legali con cui condividiamo questo percorso da ormai due anni, con Ong internazionali e le cittadine e i cittadini che ci sono solidali: abbiamo già un progetto che saremmo contenti di presentarle in un incontro”.

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