Migranti, via Vannina un mese dopo: "Nessun intervento delle istituzioni"
ROMA – “Vietato l’ingresso, locale inagibile” dice il cartello affisso all’entrata. Poco più in là un ragazzo lava i suoi vestiti all’unica fontanella presente. Un mese dopo lo sgombero dei due edifici, a via Vannina, sono ancora sessanta i migranti e i richiedenti asilo presenti in uno dei due locali rimasto aperto. Il più piccolo è Amadou, un bambino di 9 anni che vive qui con la sua famiglia originaria della Guinea, ma ci sono ancora diversi minori non accompagnati, che vengono soprattutto dal Gambia. Gli altri, quasi tutti uomini, aspettano in fila, come ogni martedì sera, per parlare con i ragazzi di Alterego, l’associazione di tutela legale che sta cercando di aiutarli.
“A un mese dallo sgombero le istituzioni non si sono fatte vedere, la sala operativa sociale nonostante i continui solleciti non è ancora intervenuta, anche se abbiamo più volte spiegato che all’interno dell’immobile c’è una famiglia con un bambino – spiega Federica Borlizzi, di Alterego -. Ora stiamo cercando noi associazioni di portarli via di qui pagando un appartamento privato”. Anche i mezzi dell’Ama non passano per via Vannina, lo testimoniano i cumuli di immondizia che stazionano da un mese davanti all’edificio. “Il proprietario che ha un’azienda agricola ha pensato autonomamente di smaltire i rifiuti al costo di mille e ottocento euro – continua Borlizzi - perché siamo al limite di una crisi igienico- sanitaria”.
Delle circa 500 persone che occupavano da anni i due ex capannoni industriali, sono rimasti una sessantina a vivere qui stabilmente. Gli altri, secondo le associazioni, si sono sistemati nelle occupazioni di immobili già presenti nella zona di Tor Cervara. “La maggior parte dei migranti qui ha un permesso di soggiorno. In generale sono migranti regolari entrati in accoglienza e poi fuoriusciti senza alternativa. Alcuni sono stati mandati via dai Cas (centri di accoglienza straordinaria, ndr), altri sono in attesa del ricorso contro il diniego. Altri ancora sono ragazzi che dopo aver compiuto il diciottesimo anno di età vengono messi fuori dalle case famiglia– continua Borlizzi -. Quello che stiamo tentando di fare è un lavoro legale per capire ogni singola storia e dare un supporto adeguato. Tra le situazioni più difficili quella di alcune ragazze, vittime di tratta e costrette a prostituirsi, che vivevano a via Vannina e che le associazioni stanno cercando di seguire e tutelare.
Inoltre, Alterego sta pensando a un esposto al Garante dell’infanzia per la tutela dei minori presenti. Mentre resta il problema dei ragazzi che hanno ricevuto violenze da parte delle forze dell’ordine durante lo sgombero, come Mustafà che porta ancora i segni di una manganellata sotto l’occhio destro. “I medici mi hanno detto che difficilmente riacquisterò la vista – afferma il ragazzo che vive dal 2013 in Italia, e qui ha lavorato anche come volontario alla Croce rossa -. Assurdo, mi hanno dato una botta, appena sono entrati, non ho capito neanche cosa stava succedendo. Ora sarà difficile per me trovare un nuovo lavoro”. Anche Foday, 22 anni, del Gambia vive qui da due settimane. “Ho un permesso umanitario, prima vivevo in una casa, ma senza lavoro è impossibile pagare l’affito – sottolinea – non so che cosa fare”. Molti dei ragazzi presenti sono stati abbandonati anche dagli stessi avvocati che stavano seguendo la loro pratica: “insieme alla Casa dei diritti vorremmo fare uno sportello legale due volte a settimana perché la situazione di queste persone è davvero difficile- conclude Borlizzi -. In più con altre associazioni tra cui Lasciatecientrare, Baobab experience, Medici senza frontiere, cercheremo di attivarci per una presa in carico globale: pensiamo anche a uno sportello di orientamento al lavoro”. (ec)