2 settembre 2014 ore: 15:28
Società

Mille nidi in mille giorni? “Ma le famiglie non riescono più a pagare la retta”

Il parere dell’esperto dell’Istituto degli Innocenti, Aldo Fortunati. “Un buon inizio, ma serve intervento più strutturale”. In aumento i casi di morosità e le famiglie che rinunciano al nido perché non ce la fanno a sostenere il costo mensile. Italia ancora lontana dall'obiettivo Ue
Asili: bambini in asilo nido

Asili: bambini in asilo nido

ROMA – “Benissimo mille nidi in mille giorni, ma il punto di traguardo non può essere questo. Serve un percorso di medio-lungo periodo in cui sviluppare e consolidare il sistema dei servizi per l’infanzia in maniera più strutturale. Aumentando da un lato i posti a disposizione, ma anche la copertura dei costi a carico dello stato, perché oggi sempre più famiglie sono costrette a rinunciare al nido, non riuscendo a sostenere il peso economico delle rette”. Commenta così Aldo Fortunati, direttore dell’area educativa dell’Istituto degli innocenti, la proposta annunciata ieri dal presidente del Consiglio Matteo Renzi  per ampliare i servizi all’infanzia e contrastare l’abbandono scolastico.   

Diecimila euro per ogni posto in asilo. Secondo l’esperto l’obiettivo annunciato dal premier è ragionevole nell’immediato sul piano tecnico attuativo: “se avesse detto mille nidi in un anno si sarebbe trattato di un obiettivo velleitario – spiega -. mentre questo in termini concreti vuol dire creare in breve termine 40mila posti, considerando che  in un nido ci sono in media 40 bambini. Ognuno di questi posti può costare per la creazione di un nuovo servizio o la ristrutturazione di uno esistente, circa diecimila euro. Sarà necessario, dunque, mezzo miliardo di euro per coprire l’investimento. Oltre a questo bisogna pensare a quanto ci vuole a farli funzionare: un posto di nido, per non far andare troppo in alto le rette, richiede un finanziamento pubblico nell’ordine dei 6mila euro. Ci vorranno dunque 250milioni euro all’anno”. La spesa in capo ai comuni passerà così da  circa un miliardo e mezzo all’anno a un miliardo e 750mila euro. Di conseguenza la copertura passerà dal 18 per cento attuale al 21 per cento un “incremento significativo ma ancora lontano dall’obiettivo fissato dalla comunità europea, e che punta a far arrivare la copertura dei servizi all’infanzia al 33 per cento”. Ad oggi in Italia questo risultato si sfiora in sole 4 regioni: Toscana, Emilia Romagna, Umbria e Liguria.

Una risposta concreta? L’approvazione del ddl 1260. Dunque, aggiunge Fortunati, “mille nidi in mille giorni producono l’effetto positivo di incrementare di tre punti percentuali la copertura, ma siamo ancora in ricorsa rispetto a una prospettiva di diffusione realmente incrementata e soddisfacente di questo servizio”. E allora che fare? Una risposta concreta sarebbe l’approvazione del disegno di legge 1260 che punta proprio ad incrementare l’accesso al nido per i bambini da 0 a 3 anni, anche attraverso l’introduzione di ticket per aiutare le famiglie a sostenere i costi delle rette. “Il disegno di legge presentato dal Pd prevede finalmente una forma di intervento strutturale e di medio-lungo periodo – aggiunge Fortunati – ma uno dei principali punti critici della sua approvazione è la copertura economica. Esso prevede, infatti, un finanziamento progressivamente crescente che parte dai 500mila euro previsti per il 2014 e arriva  fino a più di un miliardo e mezzo”. Secondo l’esperto questo è “realmente quello di cui avremmo bisogno”. Potrebbe così accadere quanto successo alla fine degli anni ‘70 quando lo stato decise di generalizzare la scuola dell’infanzia. “Nel caso della materna lo stato nel corso dei decenni ha investito per  sviluppare il servizio. E oggi i risultati si vedono: questo servizio è infatti uno dei punti nei quali l’Italia è in linea con il nord Europa, diversamente da quanto accade per i nidi”.

Le famiglie rinunciano al nido perché non ce la fanno a pagare le rette.  Secondo uno studio dell’Istituto degli innocenti, sono sempre di più le famiglie che rinunciano a mandare i figli al nido per la difficoltà di sostenere il peso economico delle rette. “Le ultime linee di tendenza ci dicono che diminuisce la domanda di nido, non perché le famiglie non ne abbiano più bisogno, ma perché la crisi ha espulso dal mercato del lavoro molte persone, in maggioranza donne. E in una situazione in cui la famiglia diventa monoreddito uno dei punti sui quali si risparmia, per necessità e non per scelta, è la retta per la frequenza del nido. Su 250mila posti a disposizione, infatti, circa diecimila sono quelli scoperti. – spiega Fortunati - Oltre a questo sono in crescita fenomeni che devono essere letti in maniera preoccupante: accanto a una domanda che tende a diminuire, infatti, riscontriamo un aumento di famiglie che dopo aver fatto domanda di accesso al nido  e aver ottenuto una risposta positiva, una volta  informati sul costo della retta decidono di rinunciare. C’è poi chi inizia a frequentare il nido e poi ritira il bambino, e un terzo fenomeno in crescita riguarda le famiglie morose, che mandano i figli a scuola ma non pagano la retta. Questi fenomeni nel complesso ci dicono che dobbiamo senz’altro aumentare il numero dei nidi ma anche e soprattutto renderli accessibili,  intervenendo a copertura dei costi  perché le rette siano più basse. Altrimenti il nido rischia di diventare un servizio esclusivo solo per le famiglie che se lo possono permettere”. 

I bambini che vanno al nido hanno più successo a scuola e nel lavoro. Investire sulla primissima infanzia è, invece, fondamentale. “Diversi studi ci dicono che l’ investimento sui primi anni di vita del bambino è un fattore di prevenzione di fenomeni come la dispersione scolastica – spiega ancora Fortunati -. Ma frequentare il nido favorisce anche il rendimento a scuola, la vita sociale e aiuta anche nel futuro inserimento nel mercato del lavoro. Gli economisti da tempo ci dicono che gli investimenti sui primi anni di vita hanno un’alta redditività in termini di sviluppo economico delle nostre società e sono un fattore cruciale per consentire la mobilità sociale e rompere le catene della riproduzione delle diseguaglianze da una generazione all’altra – conclude – elementi, dunque, che non dobbiamo in nessun modo trascurare”. (ec) 

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