Minori stranieri, ecco come l’Italia (non) tutela i migranti più fragili
ROMA - Solo negli ultimi due anni, sono oltre diecimila i bambini migranti che, dopo essere arrivati in Europa, sono letteralmente scomparsi nel nulla. A lanciare l’allarme, nel febbraio scorso, era stata l’agenzia di intelligence europea Europol, secondo la quale 5 mila bambini sono spariti solo in Italia. Una vera e propria emergenza nel nostro paese, secondo il commissario del Governo alle persone scomparse Vincenzo Piscitelli, rilanciata periodicamente da inchieste giornalistiche che raccontano di minori migranti finiti nelle reti criminali. Ma cosa fa il nostro paese per tutelare i minori non accompagnati che arrivano soli? Come funziona l’accoglienza? E chi ne ha la responsabilità?
Quella legge attesa da anni, che ancora non c’è. Uno dei punti più critici per l’assistenza e la tutela dei minori stranieri non accompagnati è la mancanza nel nostro paese di una normativa specifica. Da circa tre anni è fermo in Parlamento il ddl Zampa, una legge scritta recependo le istanze di chi si occupa del problema, come Save the children: “L’abbiamo presentata a luglio 2013, è stata depositata a ottobre dello stesso anno e ancora oggi aspettiamo che diventi legge.– spiega Giovanna Di Benedetto, responsabile minori stranieri per Save the children –. Continuiamo a ripetere che è urgente, periodicamente lanciamo l’allarme sui rischi dell’assenza di una normativa, quello che non si capisce è che a farne le spese sono i più vulnerabili tra i migranti”. In assenza di una normativa ad hoc per la tutela si fa riferimento alle leggi per l’assistenza dei minori italiani abbandonati (come la 184 del 1983 e la 149 del 2001) e alla legge quadro sui servizio sociali (328 del 2000), recepita dalle diverse regioni. Nella pratica, il minore solo deve essere sempre tutelato e collocato in un luogo sicuro alternativo alla famiglia. Ad occuparsene sono, quindi, i servizi sociali dei comuni che hanno l’obbligo di inserire i minori in centri adatti. Sui territori, però, la situazione è molto eterogenea e le strutture sono diverse per caratteristiche, costi e persino nella denominazione. Una questione complessa, come ha sottolineato anche il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento libertà civili e immigrazione, su cui l’Italia finora è andata avanti mettendoci “una pezza”, cioè trovando aggiustamenti normativi di volta in volta.
Il sistema unico per l’accoglienza che stenta a decollare. Per mettere ordine alla situazione il 10 luglio del 2014 è stata raggiunta un’intesa in conferenza unificata Stato-regioni, sui flussi non programmati, poi recepita nel decreto 142 del 2015. “Le nuove disposizioni prevedono che l’accoglienza dei minori stranieri avvenga nei centri governativi di primissima accoglienza e nei progetti Sprar, per la seconda accoglienza – spiega Virginia Costa, referente per i minori stranieri, del Sistema centrale Sprar -. l’esigenza è quella di metterli in sicurezza ed evitare situazioni di promiscuità. Si è ritenuto opportuno organizzare il sistema nazionale coniugando il rispetto delle norme, (e cioè l’inserimento in strutture adatte secondo l’età e il sesso), il ruolo dei servizi sociali e prevedendo anche attività aggiuntive rispetto ai minori italiani: come la mediazione culturale, l’integrazione e la scolarizzazione”. Secondo il decreto 142 inoltre, nei progetti Sprar non rientrano più soltanto i minori non accompagnati che richiedeno asilo ma tutti i minorenni soli che arrivano nel territorio italiano. “Per questo sono stati finanziati 15 nuovi centri di primissima accoglienza, ed è stato ampliata la rete Sprar di ulteriori mille posti, arrivando a circa 1800”, aggiunge Costa. L’orientamento dunque è quello di ricondurre tutta l’accoglienza dei minorenni stranieri a un sistema unico, ma nei fatti stenta a decollare, perché su circa 13 mila presenze in accoglienza, solo una parte minima (1852) è accolta in un progetto Sprar. E il resto? “La maggior parte sono a carico dei comuni, con una serie di problematiche forti e con disomogeneità delle prassi e dei modelli di accoglienza adottati sul territorio – aggiunge la referente di Asgi per i minori, Elena Rozzi -. Ci sono alcune regioni in cui i minori non accompagnati vengono inseriti in strutture non autorizzate, in Sicilia, per esempio accade spesso. E’ chiaro che se le strutture hanno un personale ridotto, standard bassi e i minori ricevono solo vitto e alloggio è più facile che si allontanino”. Anche secondo Giovanna Di Benedetto uniformare gli standard è uno dei punti fondamentali: “Lo Sprar deve essere ampliato e serve un adeguamento qualitativo: solo così riusciamo a trattenere questi ragazzi, qualcosa è cambiato in meglio nell’ultimo anno ma c’è ancora molto da fare”.
Di chi è la responsabilità? Il problema del tutore legale. Sono attualmente circa 4.800 i minori stranieri irreperibili sul territorio nazionale: “Spesso si allontanano dal sistema perché hanno un progetto migratorio in testa, magari vogliono raggiungere i parenti in altri paesi europei", spiega Di Benedetto. Altri, però, come denunciato anche da Europol, finiscono i mano a reti criminali, nel mercato del sesso o del traffico di droga. Ma chi risponde di loro, chi li controlla?
Secondo la legge, per ogni minore deve essere nominato un tutore. “Il criterio che si deve sempre rispettare è quello della libertà e dell’autonomia del minore – spiega Virginia Costa – dopodiché c’è un sistema di responsabilità a caduta: esiste un tutore legale che è responsabile di quel ragazzo, ma la tutela è aperta e comprende molti più soggetti: sia l’ente gestore del centro, ma anche il Comune. L’ente locale ha anche l’obbligo di vigilanza e controllo”. Il problema, soprattutto per la nomina, sono però i tempi. “Ci sono ritardi fortissimi: si aspetta a volte fino a un anno e spesso il tutore viene nominato a ridosso della maggiore età. Ciò significa che il minore per il tempo che resta in Italia, di fatto è senza una figura che abbia il compito di promuovere i suoi diritti – aggiunge la referente di Asgi -. Oppure spesso viene nominato il sindaco che ha decine di minori da tutelare, ed è chiaro che è difficile che si instauri una relazione personale”. Anche secondo Save the children è fondamentale velocizzare la nomina del tutore per il minore solo: “E' una figura fondamentale: referente per tutte le sue scelte, deve essercene uno per ogni minore”. Una soluzione potrebbero essere i tutori volontari: recentemente promossi anche da un coordinamento di fondazioni, che ha lanciato il bando “Never alone” . “Questa figura – aggiunge Rozzi – può aiutare ad accompagnare i ragazzi al di fuori del sistema di accoglienza, anche nell’inserimento socio-lavorativo. Molto spesso, infatti, alla maggiore età in molti hanno l’impressione di essere buttati via, lasciati quasi per strada. Inoltre – aggiunge – si risolverebbe anche il conflitto di interessi che si crea quando il tutore è colui che ha degli obblighi verso il minore, e che così si scarica di molte responsabilità”.
Minorenni o maggiorenni? I dubbi sull’ accertamento dell’età. Un’altra questione cruciale è quella dell’accertamento dell’età: decidere se un ragazzo straniero è minorenne o no significa, infatti, avviare una tutela nei suoi confronti oppure no. Nella prassi per determinare se una persona ha più o meno di 18 anni viene fatta una semplice radiografia del polso. “Le regole internazionali prevedono invece, un approccio multidisciplinare – sottolinea Rozzi -. Inoltre spesso l’esame viene letto da professionisti che non sono adeguatamente formati e non viene indicato il margine di errore, che è di due anni. Nell’incertezza si dovrebbe trattare il ragazzo come minore, ma questo non accade quasi mai”. Viceversa ci sono molti casi in cui sono gli stessi minori a dichiarare di essere adulti. “Soprattutto nel caso di vittime di tratta – aggiunge Rozzi – le ragazze vengono indotte dagli sfruttatori a dichiararsi maggiorenni in modo che le istituzioni non intervengono. E questo è un problema gravissimo”.
Ancora pochi gli affidi familiari. Secondo l’ultimo report quadrimestrale realizzato dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali (aggiornato a dicembre 2015) l’89,3 per cento dei minori stranieri è ospitato all’interno di strutture di accoglienza, mentre solo il 5,7 per cento è collocato presso privati, cioè ha usufruito dell’affidamento familiare (675 casi). Secondo Save the children per una maggiore tutela dei minori l’affido familiare andrebbe incentivato: “E' una pratica poco diffusa ma importante – spiega DI Benedetto – perché così il minore può ritrovare, seppure per un periodo breve, un ambiente familiare più consono. Ci sono anche dei comuni che hanno istituito un albo di famiglie affidatarie. Noi crediamo che sia un tema su cui lavorare di più”. (ec)