Minori stranieri soli, 40 per cento al Sud. "Necessaria la redistribuzione"
ROMA – Al 31 dicembre 2017 erano 18 mila i minori presenti nelle strutture di accoglienza in Italia, di questi circa 10 mila hanno circa diciassette anni, a breve cioè avranno diciotto anni e dovranno perciò abbandonare i centri di accoglienza. Ma quale percorso di integrazione li aspetta? Esiste davvero una rete in grado di assicurare un inserimento socio lavorativo a loro e agli altri migranti presenti nel nostro paese? Il tema è stato al centro del convegno organizzato oggi a Roma dalla Federazione italiana delle comunità terapeutiche (Fict). “Da anni – spiega Luciano Squillaci, presidente di Fict –accogliamo nei nostri centri le persone arrivate attraverso la migrazione perché ricevano un’ospitalità dignitosa e attenta. Ma oggi abbiamo bisogno di una riflessione sul modello di accoglienza e l’efficacia del lavoro di rete sul territorio”. Nel 2017 la Federazione ha accolto 2700 persone (365 donne e 350 minori) in 19 Cas (centri di accoglienza straordinaria), 3 Sprar adulti, 18 Sprar per minori e 2 centri per nuclei familiari.
Minori non accompagnati. Congia (Ministero del Lavoro) “40 per cento al Sud, serve redistribuzione equa sul territorio”. Innanzitutto, sottolinea Stefania Congia, responsabile della Politiche di integrazione sociale e lavorativa dei migranti e della tutela dei minori stranieri, presso il ministero del Lavoro e della Politiche sociali, “serve una redistribuzione equa dei minori stranieri non accompagnati su tutto il territorio nazionale. Se questo non si mette a sistema difficilmente il sistema Sprar minori potrà funzionare bene”. In questo momento, spiega, la maggior parte dei minori stranieri presenti in Italia è maschio, viene dal Gambia e dalla Guinea, ed è vicino alla maggiore età. “La distribuzione territoriale però ci dice che il 40 per cento di questi ragazzi sono fermi in Sicilia. Se il tema è il lavoro, come si può progettare un percorso di inserimento solo a Siracusa o a Catania, dove il lavoro non c’è neanche per i ragazzi che li sono nati? E’ sicuramente diverso farlo in Emilia, a Udine, a Como – sottolinea -. Mi auguro che dopo la tornata elettorale si arrivi davvero a una redistribuzione equa a livello nazionale”. Inoltre, aggiunge Congia: “siamo tutti pronti a parlare dello sbarco, di dove collocare le persone domani, ma non su cosa faranno dopodomani. In questo periodo sono state portate avanti due riforme, quella sulla Povertà e quella del Terzo settore, tenendole però distinte – afferma -. Le fragilità vanno, invece, affrontate insieme. A livello pubblico c’è un deficit in questo periodo, nel caso dell’accoglienza i centri Caritas hanno dato spesso risposte anche più grandi rispetto alle istituzioni”.
Forti (Caritas): “Chi controlla qualità dell’accoglienza?”. Per Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio immigrazione di Caritas italiana, è giusto parlare di lavoro ma bisognerebbe parlare innanzitutto di buona accoglienza: “sul territorio ci sono situazioni ricorrenti in cui dopo un anno e mezzo passati in un centro i ragazzi non parlano neanche una parola di italiano – afferma -. Allora mi chiedo, chi monitora la qualità dell’accoglienza? Soprattutto in un sistema che continua a essere gestito in via emergenziale, a fronte di numeri che non parlano di emergenza. Il sistema dell’accoglienza, così concepito, è usato anche a livello locale per creare consenso: si favorisce la cooperativa amica, ma senza guardare se il servizio offerto sia di qualità. Noi non siamo semplici operatori, ma parte di un sistema in cui ognuno ha un suo ruolo – aggiunge -. Ma oggi il contesto è quello di una politica nazionale sull’immigrazione ondivaga: c’è stata una riduzione nel numero di arrivi importante, in conseguenza a una politica sempre più restrittiva. Prima sono state tolte dal mare le ong, considerate fonte di attrazione, con l’imposizione di un codice di condotta, che è stato accompagnato dal patto con la Libia. Poi a Natale si è aperto un corridoio con la Libia, per portare 100 persone in Italia togliendole dalle carceri in cui erano costrette a restare in condizioni disumane. Un’operazione politica per mostrare il volto umano del nostro paese. E’ chiaro che riteniamo importante il coinvolgimento della Chiesa in questa operazione di grande valore, anche perché con le nostre risorse siamo riusciti a mettere su un’accoglienza in 4 giorni – puntualizza -. Ma ci sentiamo anche di criticare un governo che fa un accordo con un paese come la Libia dove non c’è nessun rispetto dei diritti umani”.
Nuovo corridoio per evacuazione dalla Libia a fine gennaio. Forti spiega inoltre che a fine gennaio è previsto un nuovo arrivo di persone evacuate dalle carceri libiche, ma “le vicende di questi giorni, con la sparatoria all’aeroporto di Tripoli potrebbe rimandare l’operazione”. A livello generale – aggiunge – l’apertura sui “corridoi umanitari ci fa ben sperare per un’implementazione futura delle vie legali. Che le persone arrivino in aereo a Fiumicino dovrebbe essere la norma. Abbiamo ora un programma di resettlement, un corridoio umanitario e un progetto di evacuazione, portati avanti con le Nazioni Unite”. (ec)