26 febbraio 2018 ore: 14:52
Immigrazione

Minori stranieri soli, il 30% fa perdere le tracce. L’impatto positivo del progetto "Pueri"

I risultati del progetto gestito dalla Fondazione nazionale degli assistenti sociali e dal Centro informazione ed educazione allo sviluppo saranno presentati oggi a Bologna. L’obiettivo è accompagnare nel percorso di accoglienza i minori stranieri non accompagnati. Finora presi in carico 1.382 ragazzi (10% sono ragazze)
Minori non accompagnati, ombre su muro

- BOLOGNA - Nel 2017 sono arrivati in Italia fra i 16 e i 17 mila minori stranieri non accompagnati. Del 30% di questi ragazzi si sono perse le tracce. Ma la percentuale dei minori che si sono allontanati senza dare più notizie risulta dimezzata per quelli presi in carico dal progetto Pueri – Pilot action for Uams: Early recovery Interventions. Il progetto, gestito dalla Fondazione nazionale degli assistenti sociali e dal Centro informazione ed educazione allo sviluppo, è coordinato dal ministero dell’Interno e finanziato dalla Commissione europea nell’ambito delle Emergency assistance Fami 2016. L’obiettivo è di prendere in carico e accompagnare nel percorso di accoglienza i minorenni stranieri non accompagnati. Se ne parlerà oggi a Bologna, dalle ore 17, al Teatro Duse, in via Cartoleria 42, in un convegno in cui si farà un bilancio del lavoro finora svolto. “Fino a venerdì scorso abbiamo preso in carico 1.382 ragazzi”, riferisce la presidente della Fondazione Silvana Mordeglia. “Aver dimezzato le cifre di quelli che si allontanano significa che tantissimi ragazzi non si perdono”.

Il progetto sta sperimentando una presa in carico in cui il minore appena sbarcato nell’hotspot ha un primo colloquio con un team, composto da assistente sociale e psicologo coadiuvati da un mediatore culturale, che poi incontrerà ancora per tre volte nel percorso di prima accoglienza. “Reincontrare le stesse figure per questi ragazzi ha un grande valore”. L’idea è di capire se attraverso una valutazione globale basata sull’ascolto del ragazzo si possano creare le premesse per un percorso di accoglienza più idoneo. “Il caso da cui è partita la Commissione europea è quello dei minorenni stranieri non accompagnati di cui si perdono le tracce. In parte raggiungono persone di riferimento o familiari in altri Paesi, ma in parte entrano nel circuito della criminalità organizzata, o sono coinvolti nella tratta, alcuni addirittura nel traffico di organi”, spiega Mordeglia. “Già in tanti si occupano della loro accoglienza materiale”, chiarisce la presidente della Fondazione sottolineando la novità del progetto, che prevede anche l’elaborazione di una scheda di rilevazione informatizzata “per dare alle strutture di prima accoglienza e agli enti preposti alla tutela dei minorenni maggiori elementi di conoscenza sul minore”. “Riusciamo anche a rafforzare la messa in rete delle risorse. Abbiamo unità operative, ovvero un assistente sociale e uno psicologo, proprio con questo compito di raccordo, presso le prefetture di riferimento dei 4 hotspot in cui arrivano i minori, Taranto, Lampedusa, Pozzallo, Trapani”.

Dei 1.382 minorenni seguiti da Pueri, circa il 10% sono ragazze (la metà eritree, a seguire il 24% sono nigeriane). I ragazzi sono di molte provenienze diverse, la maggior parte eritrei (31%), a seguire maliani (12,5%) e tunisini (12,5%). Oltre il 40% hanno 17 anni; il 20% sono quelli che stanno per raggiungere la maggiore età e i 16enni; l’8% ha 15 anni e meno del 10% 14 anni. Molto pochi i minori di 13 anni.

Si tratta soprattutto di ragazzi che hanno subito violenze, psicologiche, fisiche, sessuali. Molti sono vittime di torture e di stupri. “Sono partiti per ragioni specifiche legate ai propri Paesi, ma in buona parte hanno subito violenza durante il viaggio”, riferisce Mordeglia. Dal progetto è anche emerso che la loro permanenza negli hotspot, dopo lo sbarco, va da poche ore a pochi giorni nella maggior parte dei casi. “Se noi collaboriamo e creiamo un percorso di accoglienza coerente è anche la comunità italiana a potersene giovare”, fa osservare Mordeglia.

Bologna è stata scelta per presentare il progetto “perché è un luogo di buone pratiche”. Infatti, a raccontare la propria esperienza saranno Elvis e Roland. Sono arrivati dalla Nigeria a 17 anni e oggi, a 19 anni, hanno un lavoro e una casa. Il lavoro è un contratto di apprendistato presso un’azienda metalmeccanica di Quarto Inferiore, che permette a Elvis di condividere con altri ragazzi un appartamento in affitto a Bologna, e un contratto di apprendistato presso un’azienda di torrefazione del caffè a Castel San Pietro, dove Roland si è trasferito dopo essere transitato in un progetto di accoglienza in famiglia. Entrambi sono passati, da minori, attraverso la prima accoglienza del Villaggio del Fanciullo. “Hanno tutti e due un permesso per motivi umanitari, hanno lasciato il loro Paese per la guerra, sono cristiani. Oggi sono autonomi e abbastanza sereni e liberi per raccontare la propria esperienza con distacco”, spiega Giovanni Mengoli, presidente del Gruppo Ceis e del Villaggio del Fanciullo. (Benedetta Aledda)

© Riproduzione riservata Ricevi la Newsletter gratuita Home Page Scegli il tuo abbonamento Leggi le ultime news