8 febbraio 2014 ore: 11:32
Economia

Morì sotto il palco del concerto: la mamma guida la battaglia per la sicurezza

Tre operai uccisi, tra il 2011 e il 2013, dal crollo di altrettanti palcoscenici per le esibizioni di Jovanotti, Kiss, Pausini. Paola Armellini rappresenta la comunità di tecnici e facchini della musica live per una legge che li garantisca
Operai montano un palco

TORINO - Francesco Pinna, 20 anni; Matteo Armellini, 31; Khaled Farouk Abdel Hamid, 35: sono i tre tecnici dello spettacolo uccisi, tra la fine del 2011 e l'estate del 2013, dal crollo dei palcoscenici che ospitavano i concerti di Jovanotti, Laura Pausini e dei Kiss (vedi articolo precedente). Già i primi due incidenti avevano segnato uno spartiacque rispetto all'applicazione delle norme di sicurezza nella musica del vivo, con controlli più frequenti e rigorosi e un giro di vite contro il lavoro nero. Ma l'ultimo decesso, quello di Abdel-Hamid, avvenuto nel giugno scorso, ha reso evidente, nel peggiore dei modi, come tutto questo non sia ancora abbastanza. 

Da tempo, in effetti, la comunità dei lavoratori dello spettacolo chiede in primo luogo il superamento del testo unico sulla sicurezza 81/08, progettato soprattutto per l'edilizia ma tuttora applicato anche allo spettacolo, con il varo di una legge scritta ad hoc per le loro necessità. Portavoce di questo movimento è oggi Paola Armellini, la madre di Matteo, il rigger (addetto al montaggio e trasporto delle parti superiori del palco, appeso a un'imbracatura) morto nel marzo del 2012 a Reggio Calabria. Nel giugno scorso, dopo l'ultimo incidente mortale, la donna ha lanciato una petizione con una serie di richieste per il ministero del Lavoro: tra queste, la creazione di un ufficio tecnico nazionale che esamini preventivamente i progetti strutturali e di sicurezza dei cantieri per gli eventi dello spettacolo; sanzioni come la sospensione immediata e il sequestro delle attrezzature per gli spettacoli organizzati in mancanza dell’autorizzazione di detto ufficio; l'obbligo di copertura assicurativa a carico del committente o datore di lavoro o la verifica dell'idoneità delle location che accolgono le strutture da montare. 

E, non ultima, la programmazione degli eventi stabilita in base a turni e giornate lavorative adeguate. Perché, al di là delle norme, sotto accusa ci sono anche i ritmi di lavoro, con turni massacranti, che possono arrivare a sfondare la soglia delle dodici ore. "Paradossalmente - spiega Michele, un rigger di 35 anni - questo capita soprattutto nei piccoli eventi, dove si è in pochi a lavorare e quindi il concetto di turnazione è praticamente inesistente". Una situazione che peggiora notevolmente quando ci di trova in tournée, e le ore di sonno o di riposo diventano un lusso, tanto che si impara a dormire anche durante i concerti, sotto il palco, ignorando i decibel della musica e gli applausi del pubblico. "Quando c'è un back to back - conclude Michele - ossia due date in due giorni consecutivi, capita che si finisca di smontare e si riparta immediatamente per la prossima destinazione, senza dormire affatto. Personalmente, in queste situazioni mi è addirittura capitato di dover guidare, perché nei piccoli tour si lavora in pochi, e tutti devono fare tutto". Oltre il rischio sul lavoro, quello su strada, quindi: un problema di consuetudini radicate, oltre che di normative. Consuetudini che, però, hanno potuto nascere e sedimentarsi proprio sul solco di norme inapplicate o insufficienti . (ams)

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