Morte di Lo Porto, "una ferita per il mondo della cooperazione italiana"
ROMA - "La notizia della morte Giovanni Lo Porto apre una profonda ferita all’interno dell’intero mondo dellacooperazione internazionale italiana". E' il commento di Maria Teresa Bellucci, Presidente Nazionale del Modavi, che esprime vicinanza e cordoglio alla famiglia del cooperante e a tutti i cooperanti attualmente impegnati al di fuori dei confini nazionali. "È davvero triste sapere che l’epilogo della vicenda sia dovuto ad un fallito attacco militare americano, avvenuto a gennaio: durante lo stesso periodo, il Ministro degli Esteri Gentiloni aveva confermato, in un’informativa al Parlamento, che il governo era al lavoro “con discrezione giorno per giorno”, per una trattativa sulla sua liberazione, senza fornire alcun dettaglio né sulla vita di Lo Porto né sullo stato dei lavori". "Siamo consapevoli che lavorare per una Ong - scrive Bellucci - comporta dei rischi, ogni cooperante sa che la morte è un prezzo che si potrebbe pagare se si vuole vedere, sui volti, la gioia e la gratitudine delle popolazioni che ricevono il nostro aiuto nella loro lotta per l’autosufficienza. Riteniamo che sia inaccettabile l’immobilismo del governo che, a 4 mesi di distanza dal raid ed a pochi giorni dall’incontro del premier con Obama, è stato lasciato allo scuro di questa triste vicenda: dai piccoli gesti si evince il peso del nostro esecutivo nel mondo".
“Non si può considerare l’accaduto come mero effetto collaterale e inevitabile di una causa giusta. - sottolinea Sergio d’Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino - Né si può accettare che, nel nome della guerra mondiale al terrorismo, il presidente di una democrazia tra le più antiche al mondo possa, per decreto, dichiarare qualcuno colpevole al termine di un processo segreto anche per il solo sospetto che abbia l’intenzione di commettere in futuro un crimine. In questo modo, i cittadini americani all’estero possono essere uccisi per il mero sospetto di attività anti-americane, quando invece in patria avrebbero diritto ad un processo con tutte le garanzie possibili, anche quelle previste dal sistema arcaico della pena capitale. Diffidiamo dunque dall’uso dei droni armati – ha concluso d’Elia - perché come ogni altra arma, oltre che alla legge interna, i droni dovrebbero sottostare al diritto internazionale, inclusa la legge umanitaria internazionale, che ne regolamenti l’uso”.