16 giugno 2015 ore: 16:24
Non profit

Mutilazioni genitali femminili, Amref: “Sostenere riti alternativi di passaggio”

Anche se molti paesi le hanno proibite, si tratta di riti tradizionali ben radicati che hanno effetti devastanti sul corpo delle ragazze. Da anni Amref sostiene un’alternativa, ma “serve una leadership locale più illuminata e il coinvolgimento delle comunità”
Giovanni Marrozzini Mutilazioni genitali: Eve. Mani di anziana con lametta (Marrozzini 4)

Foto di Giovanni Marrozzini

ROMA - Lavorare su più fronti con le etnie in cui la pratica delle mutilazioni genitali femminili è ben radicata e identificare insieme a loro riti di passaggio alternativi che permettano il rispetto delle tradizioni per sancire il passaggio alla maturità senza violenza. È l’approccio usato da Amref Health Africa, realtà che da 60 anni lavora in Africa e che, negli ultimi anni, ha sviluppato riti alternativi di passaggio con diverse comunità Masai in Kenya e Tanzania. Risultato? A oggi sono 4 mila le ragazze che hanno evitato la mutilazione genitale grazie alla rinuncia al rito di 8 comunità locali. Per riuscirci c’è voluto il sostegno formale di oltre 350 leader locali ‘illuminati’ che hanno denunciato pubblicamente una tradizione che, oltre a ledere le singole ragazze, rappresenta un freno per la crescita della comunità a causa del perdurare di analfabetismo e degli alti tassi di mortalità materna dovuti, in parte, anche al gran numero di matrimoni e gravidanze precoci.

“Laddove vengono praticati, i riti alternativi hanno portato, in breve tempo, a un incremento della frequenza degli ultimi anni delle scuole medie e delle superiori da parte delle ragazze, segnando un visibile calo dei matrimoni precoci e un aumento dei tassi di alfabetizzazione, di crescita sociale e di speranza”, ha detto Tommy Simmons, fondatore della sezione italiana di Amref Health Africa. A metà dicembre dello scorso anno Simmons ha realizzato delle riprese durante i riti di passaggio alternativi alle mutilazioni in una comunità Masai al confine tra Kenya e Tanzania. “C’era grande partecipazione da parte delle comunità e le ragazze alla fine della cerimonia hanno cantato, ‘spegniamo il fuoco delle mutilazioni, accendiamo la lampada dell’educazione – continua – Anche le tradizioni più radicate della cultura di un popolo possono essere modificate, quando chiaramente lesive di diritti, dignità e futuro dei singoli, sempre che il popolo venga coinvolto nella soluzione”. 

Messe al bando nel 2012 dalle Nazioni Unite con una risoluzione approvata all’unanimità, le mutilazioni genitali femminili sono ancora ampiamente praticate. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nel mondo, sono circa 100 milioni le bambine e le ragazze che hanno subito questa pratica, di cui il 90 per cento in Africa, dove ogni anno ne vengono mutilate circa 3 milioni. Il Parlamento europeo ha calcolato che, in Europa, sono circa 500 mila le donne che convivono con mutilazioni genitali. Sono Egitto, Sudan, Mali, Kenya e Tanzania i Paesi dove questa pratica è più diffusa. “Molti Stati hanno formalmente proibito la pratica delle mutilazioni delle ragazze, ma quando vanno a incidere su usi e costumi tradizionali radicati nell’identità stessa delle tribù, le leggi hanno un impatto moderato”, ha dichiarato Simmons. In molte comunità, infatti, questa pratica è fortemente sostenuta da uomini e donne perché rappresenta il rito di passaggio delle ragazze alla maturità e si ritiene che dia loro un senso di orgoglio e piena partecipazione alla società. In realtà, questo rito causa una ferita dolorosa e insanabile nel corpo delle ragazze, provocando conseguenze gravi e ripetute a ogni gravidanza e parto. Inoltre, le mutilazioni rendono le ragazze eleggibili per il matrimonio in giovane età, creando la percezione dell’inutilità dell’educazione, della possibilità di mirare a un futuro diverso da quello delle loro madri e di partecipare in modo paritario e costruttivo alla crescita della società. (lp) 

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