17 settembre 2013 ore: 12:11
Welfare

Necessario un “secondo welfare” per puntellare la crisi dello stato sociale

L’analisi della situazione italiana in un articolo pubblicato sul terzo numero 2013 della rivista “Welfare Oggi”. L’autrice, Franca Maino: “Riorganizzare il ‘primo welfare’, affiancando a questo un ‘secondo welfare’ alimentato da risorse non pubbliche”
Welfare. Mano con gente

Welfare. Mano con gente

ROMA – Il cosiddetto “secondo welfare” è un settore di grande potenzialità per il sistema italiano di protezione sociale. L’importante è non farne un cattivo uso.
Sul terzo numero 2013 della rivista “Welfare Oggi”, diretta da Cristiano Gori, si esaminano potenzialità e limiti di quel welfare che si affianca a quello storico. Quel modello che la crisi in atto ha messo in difficoltà, la cui tenuta – tra l’altro – costituisce una delle questioni di maggior rilievo che i governi a venire si troveranno ad affrontare.

“I dati recenti – afferma Franca Maino nell’articolo, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell'Università di Milano e direttrice del Laboratorio 'Percorsi dis econdo welfare' presso il Centro Luigi Einaudi di Torino – mostrano un sistema di protezione sociale sempre più in difficoltà soprattutto per problematiche strutturali di non facile soluzione e tratteggiano un quadro che, alla luce degli enormi costi che ne derivano, risulta particolarmente preoccupante”.
E aggiunge: “La crisi ha portato molti Paesi europei a mettere in discussione il ‘welfare state’ perchè ritenuto nel breve periodo responsabile di disavanzi elevati e, nel lungo, finanziariamente insostenibile e a farne il principale candidato dei tagli che i governi sono costretti a operare. Il ‘welfare state’ è poi posto sotto attacco perché considerato uno dei principali ostacoli alla crescita e allo sviluppo”.
Ma, parallelamente, “è emersa l’esigenza di un riadattamento complessivo del welfare per rispondere efficacemente a una domanda più differenziata di tutela, che richiede il superamento dei programmi di protezione sociale resi obsoleti dai processi di cambiamento e una maggiore capacità di tenere sotto controllo la dinamica dei costi. I programmi di welfare hanno continuato ad erogare prestazioni molto generosa pe rla tutela dei rischi già largamente coperti, mentre hanno trascurato nuove situazioni come la non autosufficienza e la povertà tra i minori, o i bisogni di conciliazione della vita personale con la vita lavorativa”.
Da aggiungere, secondo l’autrice dell’articolo, che in Italia il welfare è oggi considerato indifendibile sotto il profilo dell’equità. Insomma, “l’Italia non è riuscita a correggere gli squilibri di un sistema di protezione sociale disfunzionale in termini di copertura dei rischi e dei beneficiari, e di ripartizione della spesa per settori”.

Il “secondo welfare”. Ma negli ultimi tre anni si è fatto spazio un ampio dibattito circa il contributo che attori e risorse non pubbliche possono fornire e sull’emergere di un “nuovo modello di welfare”, in cui alle azioni tradizionalmente garantite da soggetti istituzionali si affiancano quelle svolte da realtà non appartenenti al settore pubblico.
”Nel secondo welfare – si afferma su Welfare Oggi – confluiscono programmi di protezione e misure di investimento sociale, da finanziarsi con risorse non pubbliche, messe a disposizione da attori economici e sociali (fondazioni bancarie, aziende, sindacati, imprese sociali, assicurazioni, rappresentanti del Terzo settore, ecc…)  fortemente ancorati sul territorio e disponibili alla creazione di reti. Questi soggetti – si evidenzia – possono contribuire a dare risposte ai nuovi bisogni, per arginare l’arretramento del ‘welfare state’ pubblico, e al contempo possono offrire una via per creare occupazione e rilanciare la crescita e lo sviluppo del Paese”.

Non solo. “Più flessibile e più ritagliato sui profili di specifiche persone, categorie e comunità, il ‘secondo welfare’ sembra svilupparsi su una base regolativi definita a livello locale, ma che al tempo stesso si appoggia sia al quadro normativo nazionale sia a quello comunitario. Sebbene sempre più vincolati nelle loro decisioni di spesa, gli enti locali sono candidati ad assumere un ruolo centrale nel promuovere partnership pubblico-privato e nel contribuire al reperimento di risorse aggiuntive(…)”.

Rapporto tra primo e secondo welfare. La rivista sottolinea come, fino ad oggi, il dibattito da un lato vada alla ricerca e valorizzi esperienze di secondo welfare, dall’altro analizza il livello di innovazione e sostenibilità delle soluzioni. E si interroga sul rapporto tra ‘primo’ e ‘secondo’ welfare.
“Il secondo welfare si deve configurare come integrativo rispetto al primo – si afferma su Welfare Oggi – e non come sostitutivo: si tratta di due sfere che si intrecciano. Dalla capacità dello Stato, del mercato, del Terzo settore e della famiglia di individuare un nuovo equilibrio dipende la tenuta del sistema sociale e l’individuazione di un nuovo modello di welfare ‘inclusivo e sostenibile’”. 

Tra primo e secondo welfare, quali sono i fronti su cui intervenire? “In primo luogo si tratta di riflettere sul concetto di gratuità – si spiega – e su quanto continui ad essere opportuno garantire servizi gratuiti anche a chi si può permettere di sostenerne il costo. La parte di popolazione più abbiente dovrebbe, per prestazioni ‘minori’, uscire dall’area della gratuità. Occorre pensare ad alzare in modo selettivo il livello della contribuzione individuale al costo delle prestazioni. Questo permetterebbe di liberare risorse per continuare, se non rafforzare, l’erogazione di prestazioni gratuite per i meno abbienti e per le situazioni di cronicità”

In secondo luogo, “occorre ripensare all’attuale definizione troppo ampia e onnicomprensiva dei livelli essenziali delle prestazioni(…). Occorre ribaltare l’idea che tutte le prestazioni debbano essere finanziate dalla fiscalità generale (la pressione fiscale che ne deriverebbe sarebbe alla lunga insostenibile) e poste in campo al welfare pubblico. Va quindi rafforzata la dimensione della contribuzione individuale e di conseguenza incentivare il fatto che una quota non residuale di prestazioni sia da finanziarsi tramite forme assicurative, regolate dal settore pubblico”.

Infine, “è necessario ridefinire l’erogazione di servizi alla persone facendo sì che diventi meno accentrata in campo all’attore pubblico e sia, al contrario, garantita grazie a una più diffusa e sistematica rete di attori privati e del privato sociale. In questo modo potrà aumentare l’offerta di servizi  e al contempo si contribuirà alla creazione di nuova occupazione”.
In definitiva: il ‘welfare state’ non sembra in grado di fronteggiare tutti i bisogni espressi dalla società e dai territori. E anche una volta superata la crisi, i problemi sono destinati a restare. Il welfare deve quindi ‘assecondare la crescita’. “Sotto questo profilo - chiude l’autrice – la strategia più promettente per far fronte alla crisi strutturale del nostro stato sociale sembra essere quella di imboccare in modo più deciso la strada della riorganizzazione del ‘primo welfare’, affiancando a questo un ‘secondo welfare’ alimentato da risorse non pubbliche”.

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