Nei Cie anche giovani nati in Italia, donne sposate e lavoratori sfruttati
ROMA - Storie, nomi, vite di cittadini stranieri da lungo tempo integrati nella società italiana. Nel rapporto della Commissione Diritti Umani del Senato sui Cie ci sono anche i racconti di molte delle persone incontrate dai senatori nel corso delle visite nei centri. Vicende da cui emergono le storture del sistema Cie in Italia.
box D. ha 23 anni ed è nato ad Aversa, da genitori bosniaci fuggiti in Italia dalla guerra nei Balcani. Da dicembre 2013 è stato portato nel Cie romano di Ponte Galeria, in attesa di essere espulso in Bosnia. Ma la famiglia risiede da decenni a Napoli, dove D. ha frequentato la scuola dell'obbligo e da cui non si è mai allontanato se non una volta, per andare a Milano, come ha raccontato lui stesso. Dopo aver scontato una pena di due anni, D. viene trasferito dal carcere direttamente a Ponte Galeria, con un ordine di espulsione deciso dal tribunale di sorveglianza di Napoli. L’ambasciata bosniaca a Roma, alla richiesta di identificarlo in modo da poter poi procedere con l’espulsione, ha negato che il giovane fosse bosniaco e reso impossibile di conseguenza il rimpatrio. Il giudice di pace ha nel frattempo prorogato più volte il trattenimento. D. è rimasto così nel Cie di Ponte Galeria, privato della libertà, per sei mesi, sottoposto a una seconda pena dopo quella già scontata in carcere, per poi essere rilasciato il 14 giugno con provvedimento del giudice che sospendeva il trattenimento e l'espulsione. È evidente come il prolungarsi del trattenimento non abbia avuto conseguenze sulla definizione della condizione di D. Infatti, secondo le questure, se l’identificazione non avviene nei primi 45 giorni, le autorità consolari non svolgono ulteriori indagini e non danno risposta. Alla luce di questa prassi, il prolungarsi del trattenimento risulta inutile. “In tutti quei casi – scrivono i senatori - il trattenuto attende per mesi una risposta che non arriverà per poi essere rilasciato con un decreto di espulsione, dopo aver trascorso sostanzialmente recluso un tempo indefinito, senza alcuna giustificazione”.
Molte volte non era necessario il trattenimento nel Cie e a volte anche l’espulsione è stata una misura applicata troppo alla lettera. In questo senso è emblematica la storia di David, incontrato dalla Commissione a Ponte Galeria. Fermato a Firenze al banco di un mercato in cui lavorava, e trovato con il permesso di soggiorno scaduto ma nel periodo di tempo previsto per l' "attesa occupazione", è stato portato al Cie di Ponte Galeria. Una volta trattenuto, è cominciata la trafila per ottenere la sospensiva del provvedimento di espulsione, che è arrivata dopo un mese. Infatti il nostro ordinamento prevede la possibilità di un permesso di soggiorno di sei mesi rinnovabili di altri sei per chi ha perso il posto di lavoro ed è alla ricerca di un'altra occupazione.
Una signora di nazionalità cinese sposata con un italiano incontrata dalla Commissione sempre a Ponte Galeria, aveva il permesso di soggiorno scaduto da oltre due mesi ed è stata trattenuta per un mese nella sezione femminile del Cie romano. Ma il trattenimento era evitabile perché la mancanza temporanea di permesso di soggiorno era causata dal ritardo nel rinnovo del documento. A Trapani i senatori hanno raccolto la storia di J. A. R., in Italia dal 1998 senza guai con la legge né precedenti penali. L’uomo vive con 4 figli, una compagna e i suoi genitori. Cura il padre che ha dei problemi di salute, vive con la famiglia in provincia di Varese. Dopo un controllo dei suoi documenti da parte dei vigili, è stato portato in questura, dove ha aspettato per 5 ore. È stato poi trasferito a Trapani, portando con sé al Cie ciò che aveva con sé nel momento in cui è stato fermato.
S. S. è nato in Marocco. Anche lui in Italia da ben 14 anni, lavora in nero come giardiniere, dopo aver perso il suo posto precedente di lavoro. Ha una compagna italiana con la quale stava per sposarsi. Tuttavia è stato recluso per mesi a Trapani. (Raffaella Cosentino)