15 giugno 2017 ore: 15:30
Giustizia

Nel carcere di Bologna 4 donne con bambini. La direttrice: "Non siamo attrezzati"

Per alcune ci sono le culle, ma per la quarta (entrata da poco) solo un lettino da campeggio. Clementi: “Situazione di criticità, non abbiamo né nido né Icam ma è un’esigenza sentita e ci stiamo lavorando”. Laganà: “Inaccettabile la presenza di bambini, serve progetto per Bologna”

BOLOGNA - Nel reparto femminile della Casa circondariale di Bologna non c’è una sezione nido ma ci sono 4 donne con i loro bambini, alcuni piccolissimi. “Non abbiamo la sezione nido ma ospitiamo frequentemente madri, 4 è il massimo storico”, dice Claudia Clementi, direttrice del carcere intervendo al convegno “Carcere e questione femminile: normativa, criticità e proposte. Un progetto per Bologna” che si è tenuto oggi a Bologna. “La presenza di bambini rappresenta una situazione di criticità e imbarazzo per noi operatori perché sono in camere di detenzione comuni – aggiunge – Per alcune abbiamo le culle, ma per la quarta, che è entrata da poco, solo un lettino da campeggio. Non siamo attrezzati per garantire una detenzione pienamente dignitosa a queste madri, anche se la rete territoriale e di volontariato è molto presente”. A Bologna non c’è nemmeno un Icam (Istituto a custodia attenuta per detenute madri con figli, ce ne sono 4 in Italia) “e non conosciamo esperienze di rete tali da permettere il trasferimento delle madri detenute ma è un’esigenza molto sentita e ci stiamo lavorando”.

“Inaccettabile la presenza di bambini in carcere”, ha detto Elisabetta Laganà, garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, che ha promosso l’incontro sulla questione femminile in carcere. “Dobbiamo riflettere su donne e carcere e chiederci come declinare la carcerazione al femminile all’interno di un istituto che è pensato per gli uomini – ha aggiunto la garante – e pensare a un progetto per Bologna per accogliere le detenute con bambini, un progetto che può essere una casa protetta, perché questo dramma non è più prorogabile”. Secondo Antonietta Fiorillo, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna, “serve una rete sul territorio che permetta di far uscire le detenute con figli piccoli in maniera protetta. Una rete che permetta di seguire queste donne perché spesso si tratta di persone senza riferimenti né reti sociali”. Le donne detenute sono poche (il 10% a Bologna, il 4% a livello nazionale), “una minoranza i cui problemi, se risolti, possono diventare vantaggi per tutti”, ha detto l’arcivescovo Matteo Zuppi intervenendo al convegno. “Tutto il sistema trova beneficio se si mette in moto un meccanismo virtuoso, ma servono pratiche stabili – ha aggiunto Zuppi – Fortunatamente Bologna ha un volontariato e un privato sociale molto attivo, ha gli strumenti, quindi può dimostrare a chi non li ha che è possibile fare qualcosa”. Il vescovo ha ricordato anche le parole di Papa Francesco, “che ci aiuta a misurarci in maniera diversa con il carcere e a volere che i diritti siano per tutti. Se a Bologna dovesse nascere qualcosa di coraggioso, la Chiesa c’è”.

Attualmente nella sezione femminile del carcere di Bologna ci sono 77 detenute (il 10% circa del totale della popolazione carceraria che si attesta tra 750 e 760 presenze). “Un dato storico costante ma la sezione è in movimento: da inizio anno abbiamo avuto 77 ingressi e 74 uscite e 12 donne sono in misura alternativa”, dice Clementi. A differenza della sezione maschile dove gli stranieri sono la maggioranza (in grandi gruppi, come il Maghreb o l’Europa dell’Est), tra le donne sono di più le italiane. Tra le straniere la presenza è variegata: le nigeriane sono le più rappresentate ma ci sono anche colombiane o afghane. La fascia di età più presente è quella tra 25 e 45 anni, ma ci sono anche 2 detenute over 65. Il secondo reato più diffuso tra le detenute è la rapina. “Il reparto femminile ha fatto passi da gigante – continua Clementi – C’è la sartoria nata da una volontaria che insegnava a cucire su stoffe di recupero e che oggi dà lavoro a detenute in carcere e in misura alternativa con una produzione propria e lavorando per l’Ikea di Casalecchio di Reno e c’è il Coro Papageno misto, ma la svolta – conclude – è arrivata con il Progetto Non solo mimosa che affronta la detenzione femminile a partire dalla cura di sé e che mira a recuperare la femminilità delle detenute”. (lp)

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