Nel palazzo di via Carlo Felice tra gli occupanti che aspettano lo sgombero
Foto Eleonora Camilli/Rs |
ROMA - “L’importante è non rimanere a dormire per strada”. Lo ripete più volte Adam (nome di fantasia) mentre allaccia la cintura del passeggino alla figlia di due anni, che sta - uscendo insieme alla mamma e all’altro fratellino di 4. Poi rientra e sale le scale del palazzo di via Carlo Felice 69, a due passi dalla Basilica di San Giovanni, a Roma. L’immobile di proprietà di Bankitalia e occupato da diverse famiglie da più di 10 anni, è tra i primi della lista dei palazzi da sgomberare sul territorio della Capitale. Qui i nuclei familiari sono 35, circa 70 persone in tutto, tra cui venti bambini.
Nell’androne Adam mostra l’avviso che gli operatori di Roma Capitale hanno affisso sul muro: entro il 18 settembre devono presentarsi presso i servizi sociali del I municipio per il censimento e acquisire le informazioni per l’accesso agli interventi assistenziali previsti dal Protocollo per gli occupanti abusivi. “Vuol dire che ci stanno per sgomberare”, spiega. Due giorni fa c’è stato un vertice con i rappresentanti della Regione Lazio e il Comune di Roma. L’obiettivo, ha spiegato il Campidoglio, è quello di realizzare uno “sgombero soft”, cercando soluzioni alternative per gli occupanti e liberare lo stabile senza ricorrere alla forza. “Sappiamo che sono stati messi a disposizione 5 appartamenti dalla Regione e 5 dalla proprietà: 10 in tutto - aggiunge -. Ma non sappiamo se bastano per tutti i nuclei familiari, se c’è chi rischia di rimanere senza casa”. Adam è italo marocchino, ha la cittadinanza italiana e vive in Italia dal 92. Ha un accento calabrese perché è cresciuto a Reggio Calabria, dove suo padre si era trasferito dal Marocco qualche anno prima a cercare fortuna. “Quando ha iniziato a lavorare ha fatto venire in Italia anche me e mia madre. In quegli anni si poteva venire regolarmente - spiega -. Oggi io ho la cittadinanza”.
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Al palazzo di via Carlo Felice Adam ci è arrivato per seguire la sua compagna che già viveva qui con la madre: “quando i primi occupanti sono entrati, nel 2003, il palazzo cadeva a pezzi ed era già abbandonato da anni - racconta - ognuno ha messo a posto il suo spazio. Ora vivo in un appartamento con mia moglie e i miei due bambini. Insieme a noi c’è anche Mohammed e a breve arriverà sua moglie”. Attualmente disoccupato, mi spiega che non vuole che il suo nome compaia perché un suo amico è stato licenziato quando nel ristorante in cui lavorava è uscito fuori che viveva in un’occupazione. “Sto cercando lavoro e non voglio che qualcuno pensi che siccome sto qui sono un delinquente - spiega - su di noi scrivono di tutto, che siamo criminali, che siamo in condizioni igieniche precarie, addirittura che non abbiamo l’acqua per lavarci. Tutto questo non è vero, i bagni funzionano. E siamo noi i primi a cacciare chi vuole fare casini. Qui ci viviamo coi nostri bambini, vogliamo solo persone a posto. Lo sappiamo che non siamo in regola, ma non abbiamo occupato la casa di qualcuno. Abbiamo occupato un palazzo abbandonato”.
Nello stabile ci sono sia italiani che stranieri. Molti lavorano, ma in maniera precaria. In tanti hanno fatto domanda e sono in lista da anni per un alloggio popolare. Solo Rossana, che abita al primo piano del palazzo, la casa popolare l’aveva ottenuta, ma - racconta - le è stata occupata. “Mi avevano dato un appartamento a Tor Bella Monaca, prima di entrarci avevo avviato dei piccoli lavoretti di manutenzione e quando sono andata per prenderne possesso, ci ho trovato altre persone”. E così anche lei vive in occupazione, divide l’appartamento con un’altra famiglia che ha il figlio più piccolo autistico. “Anche mia figlia ha problemi, è schizofrenica, ora è in un istituto - spiega -. Io sto qui e cerco di seguirla. Ho una pensione di lavoro, ho fatto la fisioterapista per 23 anni, ma non posso permettermi di affittare un altro posto. Aspetto la casa popolare che mi spetta da anni”. Mentre usciamo dall’appartamento incrociamo alcuni bambini che giocano sulle scale. “Stare qui non è il massimo - aggiunge Rossana - ma sono tutte brave persone, meglio di dormire sul marciapiede”.
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Al piano terra dello stabile c’è anche il centro sociale Sans papiers, uno spazio occupato e autogestito dove si portano avanti corsi di lingua, c’è uno sportello per migranti e si fanno attività culturali. Al suo interno c’è anche Radiosonar.net, una webradio che trasmette ormai da 15 anni. “Abbiamo paura che lo sgombero riguardi anche noi, anche se per ora non abbiamo ricevuto nessuna comunicazione - spiega Chiara -. Ora stiamo pensando a come salvaguardare il lavoro che portiamo avanti da anni”. “ Questo spazio è rivolto alla socialità, è un posto aggregante - aggiunge Riccardo Bucci, avvocato -. Si sta discutendo su come rimanere, come continuare a fare radio e attività sociali. Tutte le iniziative che portiamo avanti sono gratuite e rivolte a tutti, in una zona dove gli spazi sociali negli anni si sono ridotti”. (ec)