Nell'Emporio solidale si cercano i pelati e si trovano nuovi legami sociali
C’è un aspetto che talvolta si dimentica, quando si pensa ai servizi di assistenza. Eppure è l’elemento senza il quale tutto diventa meno sensato; utile, ma senza sugo. Sono le relazioni sociali, i legami di prossimità che possiamo generare intenzionalmente quando animiamo un luogo che “eroga” prestazioni e servizi assistenziali. Sì, ovvio, se ci si pensa sopra un attimo. Ma non così scontato quando, nei fatti, si viene trascinati dalla quotidianità, quando le prassi si induriscono in procedure, quando il numero costringe a lavorare in serie. Conosco mense per i poveri che sono delle catene di montaggio, nelle quali l’operatività, la prestazionalità ha prevalso sullo spazio della relazione vera, mangiandosi il tempo e la pazienza che invece sarebbero necessarie. Conosco pure storici volontari che covano ormai un sordo disprezzo nei confronti delle persone alle quali si dedicano.
Ci pensavo in questi giorni di “decollo” del nostro Emporio della solidarietà; di queste esperienze di solito si raccontano solo le crude cifre della performance: numero di persone che hanno la tessera a punti e vengono a fare la spesa gratuitamente, quintali (o tonnellate) di generi che vengono distribuiti ogni anno, quantità di cibo sottratto allo spreco e al macero. Ma la vera essenza di un Emporio l’ho percepita solo quando sono stato qualche quarto d’ora in negozio, a godermi quei primi carrelli pieni, quell’incedere incerto di chi si muove tra gli scaffali di un esercizio che non conosce. E’ lì che ho avvertito quel clima leggero ma diretto e franco che il gruppo di volontari è già riuscito a creare nel volgere di poche settimane. Si sorride e si scherza con i clienti, con una informalità senza distanze; ma non si tratta di quell’allegria vuota o superficiale che puoi incontrate, chennesò, dal barbiere. Qui i problemi di tutti sono conosciuti, il cliente è selezionato proprio in virtù dei suoi casini nella vita, dei suoi problemi economici e sociali, della sua vulnerabilità. Ma questo non crea un’asimmetria tra assistito e volontario, e nemmeno un clima serioso o giudicante. Al contrario.
Quasi alla fine del pomeriggio è arrivato a fare la spesa Gennaro e ha portato con sé una torta – rigorosamente fatta in casa – per festeggiare l’arrivo recentissimo del suo terzo figlio. Ecco. Oggi Davide, uno dei volontari della prima ora, interviene nella riunione di coordinamento dei Centri d’ascolto e chiarisce ancora di più cosa può diventare l’Emporio: un posto riconosciuto non solo perché ci si fa la spesa gratis, ma perché trovi occasioni per stare con gli altri, col pretesto di una festicciola, di un corso per imparare come si legge un’etichetta o come si può risparmiare conservando adeguatamente il cibo e cucinando creativamente gli avanzi. Perché ci passano le famiglie del Gruppo di acquisto familiare che fanno convergere nel magazzino del negozio i prodotti che acquistano insieme. Perché il gruppo scout promuove una giornata di scarico collettivo della merce.
E’ proprio così che saremo davvero vicini e ancora più utili a Mario, la cui ditta ha chiuso alla fine del 2015 e che si è riciclato per qualche ora di assistenza agli anziani; o Juliette che col suo lavoro in una conceria porta avanti a fatica tutta la famiglia; o Daria, prigioniera di un lavoro part-time e della casa del suo ex marito. Situazioni e problemi da non affrontare da soli ma, al contrario, creando e gustando nuovi legami. Nati magari tra una corsia e l’altra. Cercando i pelati, tra gli scaffali.