3 gennaio 2025 ore: 12:14
Famiglia

Neonato morto a Bari, Anfaa: “Necessario interrogarsi sulle condizioni che determinano questi drammi”

Intervento della storica associazione delle famiglie adottive e affidatarie: “I giornalisti forniscano indicazioni sul diritto di partorire in anonimato, evidenziando che, per una donna, avvalersi di questo diritto rappresenta una scelta estremamente difficile”
Spazio vuoto, dolore e senso di mancanza

ROMA – “Vorremmo fare alcune considerazioni sul tragico ritrovamento di un neonato morto nella culla  per la vita di una parrocchia di Bari”. Sul ritrovamento del neonato morto nella culla termica della parrocchia di San Giovanni Battista, nel quartiere Poggiofranco, interviene l’Anfaa, l’associazione di volontariato formata da famiglie adottive e affidatarie nata nel 1962. “Quando avvengono questi dolorosi fatti si solleva nell’opinione pubblica un’ondata di condanna; pochi, però, si interrogano sui motivi che determinano  questi drammi, sulle  condizioni che accompagnano  il gesto disperato delle donne che hanno partorito questi piccoli – si legge in una nota –. I mezzi di informazione stigmatizzano l’accaduto, ma, anche questa volta, non hanno richiamato la possibilità, prevista dal nostro ordinamento, che le partorienti (comprese le extracomunitarie senza permesso di soggiorno) che non intendono riconoscere e provvedere personalmente al proprio nato, hanno diritto a partorire in assoluta segretezza negli ospedali e nelle strutture sanitarie, garantendo, in tal modo, a se stesse e al neonato, la necessaria assistenza e le opportune cure, prevenendo i parti in ambienti inidonei, se non pericolosi, lasciando sole e abbandonate a loro stesse la partorienti”.

“Com’è noto – ricorda l’associazione – nel caso in cui non sia stato effettuato il riconoscimento, l’atto di nascita del bambino è redatto con la dizione ‘nato da donna che non consente di essere nominata”’e l’ufficiale di stato civile, dopo aver attribuito un nome e un cognome, procede entro dieci giorni alla segnalazione al Tribunale per i minorenni ai fini della dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge 184/1983. In tal modo, a pochi giorni dalla nascita, il piccolo viene inserito in una famiglia adottiva, individuata dal Tribunale fra quelle che hanno presentato domanda di adozione al Tribunale stesso. Sono circa 250 all’anno in Italia i neonati non riconosciuti che, grazie a queste disposizioni, vengono adottati nel giro di pochi giorni. È necessario che le Istituzioni preposte si impegnino maggiormente a fare conoscere queste disposizioni e a garantire alle gestanti in difficoltà il sostegno attraverso personale adeguatamente preparato (psicologo, assistenti sociali, educatori, ecc,) che le aiuti prima, durante e dopo il parto, le accompagnino a decidere responsabilmente se riconoscere o meno il proprio nato e le sostengano fino a quando sono in grado di provvedere autonomamente a se stesse e, se hanno riconosciuto il neonato, al proprio figlio”.

“Infine – i giornalisti che riportano queste tristi vicende sui media, dovrebbero sempre più fornire  precise indicazioni sul diritto riconosciuto a tutte le donne di partorire in anonimato, evidenziando che, per una donna, avvalersi di questo diritto rappresenta una scelta estremamente difficile, che deve essere rispettata e che denota un grande senso di responsabilità verso la vita nascente. Non dimentichiamo che il diritto alla segretezza del parto è un istituto di protezione sociale di altissimo valore, ma è presente solo nell’ordinamento italiano (e, con qualche differenza, in quello francese); molte donne, soprattutto provenienti da Paesi esteri, non ne sono a conoscenza”.

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