Nidi, Guerra: “Pochi investimenti e forte squilibrio tra le regioni”
Asili: bambini in asilo nido
BOLOGNA – “L’attuale governo ha scelto di partire dall’edilizia scolastica, e va benissimo. Matteo Renzi ha anticipato che anche gli asili nido saranno un punto importante del mandato. Staremo a vedere”. A parlare è Maria Cecilia Guerra, docente dell’Università di Modena, sottosegretario del ministero del Lavoro con Monti e viceministro al Welfare con Letta, e oggi senatrice. La questione dei nidi e della formazione dei bambini da 0 a 6 anni è un argomento che le sta particolarmente a cuore: “Due sono i dati da registrare: un’insufficienza generale legata ai pochi investimenti fatti rispetto alla media degli altri Paesi Ocse e un fortissimo squilibrio tra le diverse Regioni”. Secondo Guerra, i nidi sono stati falcidiati dal federalismo: “Il Governo Berlusconi ha azzerato i finanziamenti centrali, lasciando che fossero i Comuni i soggetti principali chiamati a farsi carico dei problemi dei nidi. I governi successivi, Monti prima e Letta poi, hanno tentato di risalire la china, ma l’impresa non è semplice. I nidi non rientrano nella scuola dell’obbligo: anche per questo, vivono di molte meno garanzie”. Guerra ricorda come l’ultimo piano di azione in questo senso sia stato quello del Governo Prodi messo in atto tra 2007 e 2008, che stanziava un miliardo di euro da utilizzare in 3 anni: “Effettivamente, l’accesso a livello nazionale passò dall’11,4 per cento del 2004 al 13,5 per cento del 2011, ultimo dato Istat disponibile. Ciò nonostante non sono state soddisfatte le percentuale del 33 per cento che il piano si era imposto”. Un ulteriore intervento rivolto al triennio 2013/15 è stato quello del governo Monti: “Gli effetti devono ancora farsi sentire, ma arriveranno. Si tratta di 400 milioni di euro dedicati allo sviluppo dei servizi per la prima infanzia nelle cosiddette regioni della convergenza – Puglia, Calabria, Campania e Sicilia – in un’ottica di riequilibrio. Ma ci vuole tempo, perché non tutti i territori sono immediatamente pronti a partire con i lavori”.
L’ex sottosegretario chiede una nuova prospettiva, che porti a considerare i nidi bene comune, un investimento che interessa tutta la società. Nido inteso come ‘custode’ dei bimbi in grado anche di facilitare la vita alle mamme; come fautore dell’integrazione e della coesione sociale; come investimento precoce per contribuire alla valorizzazione di un capitale sociale umano soprattutto se rivolto alle famiglie più svantaggiate; come costruttore delle personalità. “Per questo, il pubblico deve potenziare l’accesso a questi servizi. Deve essere fortissimo il suo impegno, deve garantire elevati standard qualitativi, tutelare le pari opportunità, ricercare forza lavoro al giusto prezzo. Poi, certo, può affidare la gestione di alcune realtà al privato in un’ottica di razionalizzazione dei costi; può appoggiare sistemi di welfare aziendale aperto anche agli altri bambini. Ma tutto deve partire da lì, dai finanziamenti pubblici”.
box In linea con la posizione di Maria Cecilia Guerra, anche Laura Branca di Bologna Nidi (www.bolognanidi.blogspot.it), giornalista. “Partiamo da un presupposto: i servizi educativi rivolti all’infanzia sono in grossa crisi. Primo: né il grande pubblico né la classe politica sono interessati al tema. Secondo: mancano investimenti economici e mancano risorse, per questo i servizi stanno chiudendo. Infine: i vincoli normativi imposti ai principali gestori ne impediscono la gestione”. Le cause, insomma, secondo Branca sono da individuare nel patto di stabilità e nei vincoli imposti dalla spending review a livello nazionale: “I singoli Comuni, con i loro diversi colori politici, non riescono a tenere aperto il pubblico. A Roma non ci sono più supplenti: possono chiamarti per dirti di andare a prendere tuo figlio alle 14 perché poi nessuno può più tenerlo. Tra Parma e Novara, moltissimi nidi sono stati chiusi per il continuo aumento delle rette. Numeri precisi non ne esistono, dobbiamo aspettare la prossima rilevazione Istat di luglio. E lo Stato che fa? Passa la palla ai privati”.
Branca sostiene che non sia questa la strada da seguire: “È vero che i costi gestionali sono diversi – si va dai 1.200 euro di una maestra in un nido pubblico agli 800 in un privato, ma cambia anche l’offerta”. Come esempi, porta la maggiore turnazione nei nidi privati (“così si calpesta la continuità educativa, tanto auspicata dai pedagoghi”) e le differenze a livello di alimentazione (“in un asilo pubblico, la cuoca cucina sul posto, spesso i privati non hanno una cucina interna e i bimbi mangiano quello che si mangia sugli aerei”). Branca boccia anche l’utilizzo fatto del miliardo stanziato dal Governo Prodi nel 2007, che ha portato all’apertura di “nidi privati convenzionati”, una sorta di ibrido tra pubblico e privato: “Dicevano che così si sarebbe risparmiato, ma con il senno di poi è facile leggere una sconfitta di quel progetto: oggi quei nidi stanno chiudendo”. Come per Guerra, anche per Branca il nido andrebbe inteso come bene comune, “perché fa bene alla società intera: al Pil, alla formazione femminile, all’integrazione”. Quello che, però, si riscontra oggi è uno scontro aperto tra chi vorrebbe un futuro di nidi privati e chi, invece, li vorrebbe tutti pubblici: “Con il sistema integrato di oggi, nessuno vuole ascoltare le ragioni dell’altro e va dritto per la sua strada – commenta Branca –. Ma, davanti alla drammaticità del momento, servirebbe abbandonare le ideologie a ricominciare a pensare al bene dei bambini”.
Il tema è al centro di un incontro dal titolo “Beni comuni: intervento pubblico e partecipazione dei privati. Un confronto sui servizi per l’infanzia” che si tiene oggi alle 15 in università a cui partecipano oltre a Branca e Guerra, anche Ugo Mattei dell’università di Torino, Antonio Carullo e Silvia Nicodemo dell’Università di Bologna, il responsabile dei servizi educativi di Imola Daniele Chitti, (ambra notari)