Non autosufficienza, caregiver a rischio salute: alleati per non ammalarsi
ROMA – Non solo “caregiver familiari”, ma meglio ancora “familiari alleati”: alleati dei loro cari con disabilità, ma alleati anche delle istituzioni, che su di loro si appoggiano, sostenendoli in maniera quasi sempre inadeguata, per rispondere al bisogno assistenziale di chi non è autosufficienze. Di loro si parlerà stasera a Presa Diretta, nella puntata “Lasciati soli”, dedicata a non autosufficienza e assistenza: un assistenza che pesa soprattutto sulle spalle dei familiari, “caregiver” e “alleati”.
Alcuni di loro, sostenuti e accompagnati da uno psicologo con disabilità, che meglio può comprendere le loro condizioni, hanno elaborato due strumenti utile per definire e misurare le rali esigenze di ogni famiglia, nel momento in cui si pensa finalmente a una legge che riconosca e tuteli i caregiver familiari. “Definire con precisione il contesto di caregiving nel quale vive la persona con disabilità permetterebbe la precisa individuazione degli obiettivi nello stanziamento delle risorse – spiega Chiara Bonanno, una delle promotrici, sul blog “La cura invisibile”- Diventa indispensabile, in sede di prossimità istituzionale, riuscire a valutare e definire in maniera univoca ed efficace le situazioni che richiedono interventi urgenti, sia di tipo "strutturale" che di approfondimento diagnostico, per capire “dove” e “cosa” mettere in campo nell'intervento sociale”. I due strumenti messi a punto da questo gruppo sono una tabella sul "rischio salute" e un test per misurare fattori strutturali e carico psicofisico.
La tabella. La prima indica una serie di patologie in cui incorre frequentemente il caregiver familiare a causa dell’attività di cura e assistenza in cui è impegnato in modo continuativo. “Il legame spesso totalizzante tra il familiare e la persona con disabilità crea sicuramente un contesto di elevato stress psico fisico - afferma Elena Malagoli, caregiver familiare - Un familiare che viene lasciato solo a svolgere una continua attività di cura e assistenza è sottoposto a un elevato rischio di patologie, causate da continui sforzi fisici, dalla mancanza di riposo, specie notturno, dalla mancanza di vita relazionale e tempo per la cura di sé. Questo rappresenta un contesto di elevata criticità sanitaria e di rischio non solo per il familiare stesso ma anche e soprattutto per la persona con disabilità che viene assistita. Esporre un familiare al rischio di gravi patologie che vanno dai disturbi psichiatrici con l'aumento tendenze suicide, fino alle degenerazioni muscolo-scheletriche e neoplasie, segnala una grave negligenza istituzionale verso la cittadinanza più fragile”.
Queste difficoltà non variano sensibilmente a seconda della disabilità, ma piuttosto a seconda del contesto ambientale e delle risorse presenti nel territorio: “Le differenze non dipendono dal tipo di disabilità, ma da numerosi altri fattori e dalla loro unica combinazione – spiega un’altra caregiver familiare, Cristina Sbordoni - Un contesto di caregiving può cambiare radicalmente se, per esempio, la condizione abitativa cambia. Non mi riferisco solo all'accessibilità dell'abitazione ma anche alla dimensione ambientale che può esistere se si vive un piccolo paese dove si conoscono tutti (e dove, per esempio, tutti possono collaborare nella vigilanza e sostegno di una persona con disabilità intelletiva) o in un'area metropolitana. Ecco perché è indispensabile ‘fotografare’ il contesto individualizzato di caregiving per poter fornire la risposta giusta per quell'unico tipo di criticità".
Il test. Ed è questo, appunto, l'obeittivo del test messo a punto dallo psicologo Lelio Bizzarri, con il quale alcuni caregiver hanno collaborato, offrendo la propria competenza: un’intervista strutturata che, “oltre a misurare il ‘carico di impegno’ del familiare alleato – spiega Bonanno - consente anche di individuare gli interventi operativi necessari e prioritari, per mettere in sicurezza il contesto in cui vive la persona con disabilità e il suo nucleo familiare. Vuole essere uno strumento operativo con il quale organizzare al meglio le risorse disponibili – continua Bonanno - selezionando quelle realmente necessarie e, quindi, generando un regime virtuoso di interventi socio assistenziali che non grava con ulteriori oneri sulla collettività. Questo perché, indipendentemente da una norma ben fatta, occorre mettere in campo degli strumenti che valutino efficacemente i contesti individuali e che individuino selettivamente le risposte più adeguate, attivando, tra le risorse disponibili, quelle che hanno la connotazione di risposta personalizzata a quello specifico contesto. Solo così si potranno prevedere degli stanziamenti pubblici che siano reali investimenti nella produzione di maggiore dignità per le persone con disabilità”. (cl)