Non autosufficienza: fondo aumentato, “ma il bisogno è molto più grande”
Non autosufficienza. Mani di vecchietta
ROMA – Secondo le associazioni non bastano, ma 400 milioni è una cifra che fa tornare il Fondo non autosufficienza ai livelli record del 2008-2010: ecco perché almeno al momento la decisione del governo, dopo gli incontri avuti dal Comitato 16 Novembre con Graziano Delrio e da Fish e Fand con Giuliano Poletti, soddisfa tutti. Ma se 250 milioni erano davvero troppo pochi, 350 rappresentavano la tenuta rispetto allo scorso anno e 400 milioni sono oggi un “buon compromesso” fra le richieste e le disponibilità effettive, quale è la cifra che corrisponde alle esigenze delle persone non autosufficienti in Italia? Di quanto, cioè, ci sarebbe bisogno? Almeno un miliardo, sostengono le associazioni, che continuano a chiedere per il futuro un incremento costante del Fondo fino a quella cifra.
- Portare dei numeri certi, però, non è affatto facile. I soldi del Fondo non autosufficienza – che coprono la quota sociale degli interventi di assistenza socio-sanitaria - vengono ripartiti fra le regioni e ognuna di esse li utilizza secondo propri criteri. Ma, spiega la coordinatrice degli assessori alle Politiche sociali della Conferenza delle regioni, Lorena Rambaudi, “di fatto noi rileviamo la richiesta, non il bisogno: ogni regione sa quante persone si rivolgono ai servizi, ma questo non è una rappresentazione del bisogno, che è evidentemente molto più grande”. “Ci sono persone – aggiunge - che hanno diritto alle misure pensate per la non autosufficienza e che non lo sanno, non lo vengono a sapere o lo vengono a sapere tardi: c’è insomma una difficoltà nell’incrocio fra domanda e offerta che deriva anche dal fatto che a volte le misure non sono continuative, ma spot. Un anno ci sono, l’anno dopo non più. Da questo punto di vista è da valorizzare il fatto che la legge di stabilità preveda la pluriennalità dei fondi sociali, il che permette di avere una programmazione pluriennale. Questo è un requisito per poter misurare il bisogno”.
Non autosufficienti, chi e quanti sono?
Non si sa con esattezza, perché una definizione puntuale e omogenea di non autosufficienza, come pure di grave disabilità, in Italia non esiste. Sotto questa definizione, rientrano, in generale, coloro che mancano di autonomia per almeno una delle funzioni essenziali della vita quotidiana. Comunemente, quando si parla di non autosufficienza in Italia si fa riferimento a una platea che oscilla tra i 2 e i 4 milioni: una forbice piuttosto ampia. L’Istat parla di 2 milioni di “anziani” non autosufficienti, mentre poche settimane fa in audizione in Commissione Affari sociali alla Camera ha indicato la presenza di 2,1 milioni di “persone con disabilità” certificate in base alla legge 104/92 art. 3 comma 3: al riguardo c’è però da notare che l’Istat classifica come “gravi” coloro che percepiscono una pensione d’invalidità con indennità di accompagnamento: nel 2011, 2.111.524 persone, di cui 580.915 under 65 e 1.530.609 over 65. Il Censis parla di 4,1 milioni di italiani non autosufficienti, di cui 3,5 milioni anziani. Lo Spi-Cgil stima 2 milioni e 600 mila persone non autosufficienti in Italia, di cui 2 milioni anziane. La principale misura per loro è l’indennità di accompagnamento: un contributo di 499,27 euro mensili, per una spesa annua di 17 miliardi di euro. Cui si aggiungono, appunto, i vari interventi previsti anche con l’utilizzo della quota di spettanza regionale del Fondo per la non autosufficienza.
Regione che vai, modello assistenziale che trovi
Non esiste un modello nazionale di sostegno alla non autosufficienza, ma differenti modelli regionali. Il Rapporto sulla non autosufficienza 2012-2013 curato dal Network Non Autosufficienza ne individua alcuni: in Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta si trova una residenzialità avanzata, con sviluppo delle soluzioni residenziali e dall’offerta comunale di servizi socio-assistenziali; in Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia c’è un’elevata intensità assistenziale domiciliare; in Calabria, Campania, Puglia, Sicilia e Sardegna, è diffuso il modello del “cash-for-care” (soldi in cambio di assistenza): tanti beneficiari di indennità di accompagnamento, pochi ospiti di strutture residenziali; in Umbria, tanti beneficiari dell’indennità di accompagnamento tra gli ultra 65enni (19,5%), tanti con ADI, pochi in servizi residenziali e un repentino incremento negli ultimi due anni degli utenti in ADI (7,7%), a fronte di una bassa offerta sia di servizi residenziali che di SAD (0,6% e 0,3%). In Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana e Veneto, infine, prevale ancora l’orientamento verso residenzialità.
Rsa e assistenza domiciliare
In Italia c’è una cronica mancanza di posti letto per persone non autosufficienti, soprattutto nelle regioni del Sud: circa 240 mila posti letto su 496 mila che secondo un’indagine Auser riferita al 2011 sarebbero necessari. Il finanziamento alle Rsa (residenze sanitarie assistenziali), strutture non ospedaliere (ma in ogni caso ad impronta sanitaria) che ospitano a tempo definito o a tempo indeterminato persone non autosufficienti che non possono essere assistite in casa e che necessitano di specifiche cure mediche, è operato in parte dal fondo del Servizio sanitario nazionale, ma una quota è in genere coperta anche dal comune e/o dalla famiglia.
Sull’altro versante, il modello dell’assistenza domiciliare, ritenuto fondamentale da molte famiglie e rivendicato con forza dalle associazioni, risulta ancora marginale nel nostro paese, seppur in lieve crescita: secondo il Rapporto sulla non autosufficienza 2012-2013, tra il 2005 e il 2011 è cresciuta la disponibilità di servizi domiciliari (SAD- servizio di assistenza domiciliare, ADI- assistenza domiciliare integrata). Il tasso di copertura medio della popolazione ultra 65enne è passato dal 2,9% del 2005 al 4,1% del 2010, con una media di 20 ore di assistenza l’anno per utente, ma con differenze significative tra regione e regione, sia per numero di ore, sia per numero di beneficiari.
A proposito di assistenza domiciliare, un dossier chiamato “Restare a casa” è stato consegnato a questo e ai precedenti governi dal Comitato 16 Novembre, che calcola in 4,5 miliardi di euro la cifra che servirebbe per consentire alle persone gravemente disabili e bisognose di assistenza continua di restare a casa propria, ricevendo qui le cure necessarie. 2,5 miliardi andrebbero destinati alle famiglie, per sostenerle nel lavoro di cura di cui scelgano di farsi carico. 18 miliardi di euro sono, secondo quanto riferito dal Comitato, le risorse che ogni anno il Servizio sanitario nazionale spende per finanziare le Rsa.
Su Rs, l'Agenzia stampa di Redattore sociale anche la proposta avanzata dalle regioni al ministro del Lavoro:
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