Opg, metà degli internati denuncia lo stato per sequestro di persona
Foto di Eligio Paoni/Contrasto
REGGIO EMILIA – Raggiunge quota 109 il piccolo esercito di internati che dagli ospedali psichiatrici giudiziari sta dichiarando guerra allo Stato. L’ultima ondata di ricorsi arriva dall’Opg di Reggio Emilia: 24 istanze per detenzione illegittima, cioè sequestro di persona. “Pressoché la totalità dell’istituto – commenta Emilio Santoro, presidente dell’associazione L’Altro Diritto - se si considera che i pazienti in totale sono 27 e che il giorno del nostro ingresso un internato era in ospedale e solo due persone non hanno voluto sottoscrivere le istanze”.
Impegnata in una battaglia “contro la detenzione illegale dei pazienti ancora reclusi negli Opg”, negli ultimi tre mesi L’Altro Diritto ha raccolto 58 ricorsi dall’Opg di Montelupo Fiorentino, 27 da quello di Barcellona Pozzo di Gotto e 24 a Reggio Emilia. Con tre sole strutture sulle cinque ancora aperte (Mancano Aversa e Napoli) è stata cioè raggiunta quasi la metà del totale degli attuali 226 internati.
“Dal 1 aprile 2015 gli internati non devono essere più ristretti negli Opg bensì nelle Rems, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza - prosegue Santoro -. Il cambio non è nominalistico: le Rems sono strutture senza polizia penitenziaria, senza un direttore appartenente all’amministrazione penitenziaria, insomma non sono carceri travestiti da ospedali, ma ospedali in senso proprio. La violazione dell’art. 13 della Costituzione è evidente e preoccupante”.
L’Altro Diritto ha investito della questione la magistratura di sorveglianza aiutando gli internati a redigere le istanze con le quali si denuncia l’illegittimità della detenzione. “Per il nostro ufficio si tratta dei primi reclami - spiega il presidente del tribunale di sorveglianza di Bologna e Reggio Emilia, Francesco Maisto - Quello di Reggio Emilia è l’Opg più piccolo d’Italia nel senso che ospita il numero di internati minore rispetto alle altre strutture del territorio nazionale. La percentuale delle istanze è notevole, se si considera il totale della popolazione. Come capo dell’ufficio provvederò ad assegnare subito i casi ai magistrati competenti in modo che la loro trattazione avvenga nel più breve tempo possibile. È un’iniziativa lodevole quella dell’associazione L’Altro Diritto, sempre sensibile alla questione del trattamento delle persone recluse a qualsiasi titolo e attenta, soprattutto, alla tutela del diritto alla salute.”
Che succede quando queste istanze arrivano sui vostri tavoli?
Succede che il magistrato al quale viene assegnato il caso instaura un vero e proprio procedimento: da una parte c’è l’interessato, coadiuvato dal suo tutore e dal suo difensore, dall’altra c’è lo Stato, c’è l’amministrazione penitenziaria, che viene rappresentata dall’avvocatura dello Stato. Il procedimento inizia con una citazione in giudizio, si fissa l’udienza e, nel corso di questa, si sente l’interessato, si ascoltano le sue ragioni e il parere del pubblico ministero. Segue un’ordinanza che a seconda della situazione accoglie il reclamo o lo rigetta. Nel caso in cui l’istanza sia accolta, il giudice dispone che l’amministrazione penitenziaria abbia una certa condotta. Nei giudizi di questo tipo, se la parte che è inottemperante è una regione che non ha realizzato la Rems, il magistrato cita in giudizio anche la regione. Come esito del giudizio, il magistrato può condannare la regione a ospitare l’internato in una Rems. E se la Rems non c’è, la regione la deve realizzare. Per l’eventuale sequestro di persona, invece, procede la procura della Repubblica del tribunale competente per territorio.
Perché ci sono ancora internati negli Opg? Da dove arrivano i ritardi?
C’è un ritardo non solo da parte delle regioni, per le Rems, ma anche a livello di amministrazione centrale, nel senso che la legge 81 ha indicato dei termini che sono stati abbondantemente superati. Non è solo una questione organizzativa, ma di tutela del diritto alla salute perché le Rems non sono la semplice alternativa all’Opg, ma realtà completamente diverse. Dalla legge vengono qualificate come strutture sanitarie. E non sono comunque la sola alternativa. L’obiettivo è sempre il programma terapeutico individualizzato e, dove possibile, il ricovero in vista di una sistemazione futura: in una famiglia, in una comunità protetta e così via.
Lei coordina il tavolo 10 degli Stati generali dell’esecuzione penale, proprio quello che si occupa di sanità e salute mentale. A quali conclusioni state arrivando?
Abbiamo superato il primo step con la raccolta da parte di tutti gli esperti delle segnalazioni sulle criticità del sistema penitenziario. Ci ritroveremo il primo ottobre per fare la sintesi e indicare le prospettive di carattere organizzativo e normativo. È emerso un quadro molto deludente perché le aspettative che si erano create legittimamente con il passaggio al servizio sanitario nazionale risultano realizzate molto parzialmente. C’è poco movimento in avanti per assicurare maggiore tutela del diritto alla salute. Le maggiori criticità arrivano da quelle regioni in cui il passaggio non è stato mai realizzato, dalle regioni in cui non c’è alcuna parvenza di tele medicina, soprattutto dove gli istituti sono molto lontani dai centri ospedalieri. (Teresa Valiani)