Orti in città, occupati oltre 1 milione di metri quadrati
BOLOGNA – Più di una moda, ormai uno stile di vita. Una ribellione “dolce” e multiculturale ai consumi sfrenati e poco sostenibili. A Bologna gli orti urbani guadagnano terreno: incastonati tra i palazzi, a volte nascosti tra gli svincoli delle grandi arterie stradali, sono più di 2700 gli appezzamenti in città, per un totale di circa 20 aree ortive. Gli spazi si concentrano soprattutto nei quartieri popolari: 776 solo al Navile, appena fuori porta, seguito dal più periferico Savena (642 orti), e da San Donato (398), quartiere con una caratteristica multietnica. Un tempo assegnati solo ai pensionati residenti, dal 2009 gli orti bolognesi vengono concessi anche alle associazioni, che a loro volta li mettono nelle mani di immigrati e disoccupati. È così che gli “hobby farmers” aumentano sempre di più: in Emilia-Romagna sono circa 200 mila i metri quadrati occupati da piante e coltivazioni ad uso domestico, in Italia si arriva a 1,1 milioni di metri quadrati, per un totale – secondi i dati Coldiretti, su base Istat - di 21 milioni di persone coinvolte.
Sembra facile, ma gli orti sono tanti e diverse le colture e le piante: da quello portatile fatto crescere in grandi vasi, a quello in verticale attaccato alle pareti del terrazzo, fino al “guerrilla gardening”, forma di attivismo che, quasi una ribellione verde, fa rinascere le aiuole degradate con lavori di giardinaggio e manutenzione. Si moltiplicano poi le coltivazioni “fai da te”: lattuga, pomodori, peperoncini, zucchine e melanzane, ma anche piselli, fagioli, fave e ceci. Le erbe aromatiche sono quelle più coltivate insieme ai fiori (73% del totale) – sono sempre dati Coldiretti - seguiti da ortaggi e frutta (39%).
A Bologna, l’esperienza “verde” nasce ufficialmente nel 1981, quando gli orti vengono assegnati in comodato d’uso ai pensionati residenti nel quartiere, ma non più di uno per nucleo familiare. Nel 2009 il Comune estende questa possibilità anche a disoccupati e migranti: gli orti diventano così luoghi di incontro tra culture e bisogni diversi, spazi impensabili di “melting pot”, di confronto e talvolta anche di scontro. Nascono associazioni dedicate, come ad esempio Annassim, che riunisce “donne native e migranti dalle due sponde del Mediterraneo”: “L’orto rappresenta un momento di condivisione molto importante – afferma Lella Di Marco, una delle fondatrici –: è così che è nato il progetto ‘Coltiviamoci insieme’, per l’integrazione e la convivenza non conflittuale. Ci riuniamo a San Donato, al centro Zonarelli, che si occupa scambio multiculturale. Inizialmente i bolognesi erano un po’ schivi, soprattutto gli anziani, ma a poco a poco la situazione è cambiata. Bastano due chiacchiere sulle sementi, sulle diverse piante e i metodi di coltivazione: ci si aiuta a vicenda, per scoprire alla fine che non ci sono grandi differenze”.
Secondo gli ultimi dati del Comune di Bologna, gli assegnatari dei circa 2700 orti sono in grande maggioranza uomini (70%), di cui più della metà over 70 (54%). I restanti appartengono quasi tutti alla fascia tra i 60 e i 69 anni (29%), mentre solo il 17% ha un’età compresa tra i 20 e i 60 anni. Anche i dati sulle donne rilevano che la maggior parte ha più di 70 anni (42%), seguite dalle signore dai 60 ai 69 (29%). Racconta Liliana Ricci, socia di Annassim, anche della non sempre facile convivenza: “Le liti sorgono soprattutto tra uomini anziani, spesso italiani tra di loro. Si bisticcia per piccole cose: c’è chi si lamenta perché il vicino tiene l’orto in disordine, chi non vuole che il suo spazio venga invaso dalle piante altrui… Le donne, soprattutto straniere, invece non creano mai grossi problemi”. Molte delle associate di Annassim sono arabe e portano il velo. “All’inizio, in molti si lamentavano per il mio modo di vestire – racconta la presidente di Annassim, Fathia Morchid, da Casablanca, che ha lanciato l’idea degli orti per le donne migranti – Questa però è una mia scelta, io volevo solo rispetto. Dopo qualche tempo, finalmente i rapporti si sono stretti, e in alcuni casi sono nate vere e proprie amicizie. Curare un orto per una donna araba significa anche uscire dall’isolamento, e capire come funziona la società al di fuori delle mura domestiche”. Conclude Lella Di Marco: “Sono tante le giovani venute dalla Tunisia, dal Marocco e dall’Egitto che, abituate a vivere in campagna, hanno voglia di coltivare da sé le erbe tipiche della loro terra. Ora ne hanno la possibilità”. (alice facchini)