Orti, “una risposta a misura d’uomo al modello consumistico”
Quali orti avete scoperto nel vostro viaggio “green”?
Girando in varie parti del mondo, ci siamo resi conto che si può coltivare in posti davvero inconsueti. Siamo stati in Marocco, in Brasile, in Germania, in Kenya… Esistono orti sui tetti dei palazzi, sui balconi, orti costruiti in verticale, ci sono recipienti di ogni tipo e di ogni forma possibile, che inaspettatamente contengono terra per coltivare. Nelle periferie di Nairobi, nello slum di Mathare, gruppi di persone fanno crescere ortaggi all'interno di grandi sacchi, una specie di spinacio che viene prodotto con cadenza settimanale. Per alcuni, questo è l’unico modo per mangiare verdure.
La storia degli orti urbani ha radici molto lontane nel tempo…
In Europa, c’è una lunga tradizione di orti costruiti fuori dalle mura domestiche, in spazi collettivi. Pensiamo alle antiche periferie operaie, abitate prevalentemente da immigrati, soprattutto in Gran Bretagna e in Francia. Successivamente, tra le due guerre, la gente povera coltiva terreni prima inutilizzati e abbandonati a se stessi: era il periodo della grande depressione, si soffriva la fame. Poi arrivano gli orti di guerra, durante il secondo conflitto mondiale. Nel Sud del mondo, ancora oggi gli orti urbani rappresentano una necessità: se si vuole accedere a un certo tipo di prodotto, l’unico modo è coltivarlo.
L’orto visto come ribellione al sistema consumistico: è così?
Naturalmente. È una piccola risposta, ma è solo mettendo insieme piccole risposte che si arriva a risposte grandi. Di solito, l’uomo è spaventato di fronte alle grandi domande, come ad esempio: “Come sostenere una crescita infinita?”. A questo quesito gigantesco, l’orto dà una piccola soluzione, spostando l’attenzione sull’autoproduzione. Esso risponde perfettamente al concetto di prossimità, per far sì che ci sia sempre meno bisogno di trasporti a grandi distanze. Bisogna capire che noi non siamo solo consumatori, ma possiamo e dobbiamo anche diventare produttori.
Come interpretate oggi questo bisogno di tornare al rapporto con la terra, con il verde?
Il dato più significativo è che, dal 2007 per la prima volta nella storia, la maggior parte delle persone che popolano il nostro pianeta vive in città e non più nelle campagne: è il risultato di un processo migratorio che ha attraversato tutto il ‘900, e che ha portato oggi l’uomo a essere sommerso dal cemento. La rinascita degli orti nasce probabilmente da una spinta innata dell’uomo verso la bellezza della natura, anche se si tratta comunque di una natura addomesticata e prossima a noi stessi.
C’è chi lo vede come una sorta di elogio della lentezza…
Innanzitutto, una riconciliazione con il concetto di stagionalità. L’uomo non ha più sensibilità per i cicli naturali, vuole tutto e subito. Coltivare una pianta sul proprio balcone, vederla crescere e maturare, fa capire l’importanza del processo e il valore del prodotto finale. Si riscopre così il rispetto della vita svincolata dai tempi artificiali dell’epoca post-industriale. Oggi si parla addirittura di ortoterapia: a volte è necessario staccarsi dai propri ritmi frenetici per riappropriarsi della serenità trasmessa dal verde che ci circonda, perfino in città. (alice facchini)